MONTEODORISIO. Si intitola “Ma che bel castello” la mostra storico-archeologica che sarà inaugurata domenica alle 9,30 nel fortilizio e che si potrà visitare fino all’Epifania tutti i giorni dalle 17 alle 20 (ingresso gratuito). Sono oltre una cinquantina i reperti esposti, degli oltre 1500 rinvenuti durante le campagne di scavo condotte dal 2003.
I curatori hanno
privilegiato il Medioevo.
E a partire da questo periodo, infatti, che
Monteodorisio comincia a rivestire un ruolo di prestigio lungo la fascia costiera,
mentre Histonium (Vasto) tramonta.
I lavori e l’allestimento museale sono stati
presentati dal sindaco, Ernesto Sciascia, da Marco Rapino della cooperativa
Parsifal che ha eseguito gli scavi, e dal direttore scientifico, Davide
Aquilano.
La mostra, ideata e coordinata da Michele Massone, dell’associazione
culturale vastese Lightship, è stata realizzata con un accordo di programma
quadro tra Stato e Regione finanziato dal Cipe.
«Gli scavi hanno contribuito a far luce su un capitolo
sconosciuto della storia di Monteodorisio. I reperti ci permetteranno di
arricchire il museo», afferma Rapino.
«Tra l’ottavo e il dodicesimo secolo sulla sommità della
collina esistevano delle strutture in legno, una torre di avvistamento e difesa
ed un recinto», spiega Aquilano, «a distanza di un paio di secoli, la
superficie disponibile per la fortezza si è ampliata e nel 15° secolo è stata
dotata di torri con una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana al centro».
Di
particolare importanza sono i manufatti in pietra ollare rinvenuti.
Veniva
lavorata sin dalla preistoria nell’area alpina.
La diffusione e la presenza a Monteodorisio si
potrebbe spiegare con le rotte di distribuzione lungo l’Adriatico e da lì
attraverso le valli dei fiumi Trigno e Biferno. La notevole quantità di
vasellame trovato è una conferma del vivace sistema di scambi e traffici
intorno al sito del castello», aggiunge Aquilano.
E tra il vasellame c’è anche un’anfora islamica.
«Siamo in attesa di esami di conferma sulla provenienza.
L’area sarebbe quella della Mesopotamia del dodicesimo secolo. Se le ipotesi
dovessero trovare conferma, sarebbe una ulteriore testimonianza della fiorente
attività commerciale», conclude il direttore.
Simona
Andreassi
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