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lunedì 25 marzo 2024

LA CANZONE DEL TELAIO

 Il telaio era un arnese di lavoro femminile assai diffuso in tutti i paesi d'Abruzzo, e molte erano le ragazze che con esso preparavano il corredo nuziale.    Il lavoro al telaio è stato in passato fonte di una poesia popolare in cui ancora   vive il senso di un'eredità storica e di certe esperienze e atteggiamenti ricchi di valori sentimentali: proprio al telaio è legata la questione dei rapporti tra sonetto e strambotto.  Difatti, il tema dell'innamorato che vuol fare un telaio all'amata come dono di nozze, è assai antico e diffuso in tutte le regioni d'Italia e dimostra, come sostiene il Toschi, che “anche il sonetto, nonostante la sua preziosità, è entrato nella tradizione orale perdendo alcuni dei tratti di maggiore artificio, ma rimanendo ben riconoscibile nelle sue linee essenziali”.

 Amore e lavoro sono motivi che si intrecciano nei vari canti che abbiamo raccolto.

In questa canzone di Monteodorisio, nel Vastese, il giovane innamorato promette che tra marzo e aprile segherà nella vigna un noce e un castagno per farne un telaio alla sua Mariuccia

 

Mo' se ne vène Natale sante,

s'ariverisce tutte le cummare.

Jame, cummara me', si vù miní,

la vigna mé sta 'ncoppe a la muntagne:

ci sta du' arbre di noce e di castagne,

tra marze e aprile li vujje sicà

pe' fa' lu telarucce a Mariucce:

la cassa d'aure [d'oro], li licce di seta

l'andruarella di noce moscata;

noce moscata e noce moscatelle

quest'è la strade de le donne belle

 

Nello strambotto, che abbiamo trovato “contaminato “con un canto amebeo[1], il motivo del telaio è introdotto in una atmosfera di solennità sacra, il Natale, quando “s'ariverisce tutte le cummare (interessante nota di costume). Ed è alla comare che l'innamorato promette, e nella circostanza la promessa assume quasi il valore di un giuramento, che tra marzo e aprile segherà nella vigna a monte il noce e il castagno per fare il telaio a Mariuccia; e anche qui c'è il tocco di colore locale. Nella ripresa la strada, che in altri strambotti è detta profumata, è contraddistinta dalla presenza delle “donne belle“, presenza che vi porta una nota di gentilezza, il profumo dell'onestà.

Il canto, mi è stato riferito dall'informatrice, era assai in voga a Monteodorisio fino a pochi anni fa, e l'ho trascritto perché mi è sembrato uno fra i più belli dei canti popolari abruzzesi, oltre che per l'originalità del disegno strofico e la vivacità delle immagini, per la spontaneità e la delicatezza dei sentimenti, ispirato com'è ad una semplice e ingenua vicenda d'amore paesano.



[1] Di componimento poetico in cui si alternano domanda e risposta.

Emiliano Giancristofaro

IL CANTO DI MONTEODORISIO

 Quanti sono ancora i canti popolari abruzzesi inediti o ignorati! Spesso, per caso fortuito, ci si imbatte in qualche canzone, o fiaba o racconto, di singolare poeticità, conservati nella tradizione orale del popolo, specialmente nei paesi rurali del Molise e dell'Abruzzo montano: sono componimenti sgorgati dal cuore di anonimi poeti popolari, che rievocano fatti d'amore e di morte, stornelli e canti legati alla fatica quotidiana nei campi, agli avvenimenti più comuni della vita umana.

 I canti d'amore, poi, hanno sempre occupato un posto notevole nella letteratura popolare abruzzese, ed accanto a strofe di amore selvaggio e triste si incontrano, sfogliando le raccolte dei maggiori folkloristi, canzoni di particolare dolcezza in cui i sentimenti più delicati e semplici appaiono mescolati a motivi di civetteria femminile, a dispetti d'amore e a tutti quegli atteggiamenti e stati d'animo congiunti alle vicende dei giovani innamorati.

 Proprio per caso fortuito a Monteodorisio, nel Vastese, ho avuto modo di ascoltare alcune strofette, purtroppo non ricordate alla perfezione dalla anziana donna che ne informava, di un bellissimo canto d'amore che non ho trovato in nessuna delle raccolte abruzzesi consultate. In esso un giovane del paese tenta i suoi primi approcci amorosi con una fanciulla a cui non ha ancora mandato « l'ambasciatore » per chiederla in sposa; tra i due innamorati, anche se la passione è ardente, non c'è stato alcun segno di « compromissione », come il regalo del fazzoletto della ragazza, secondo un'antica usanza, o il bacio per la strada, secondo un vecchio sistema di conquista femminile per vim. Invano il giovane, nel canto, cerca di persuadere la fanciulla ad un incontro, suggerendole le scuse più ovvie: questa non si mostra punto cedevole alle profferte d'amore del suo spasimante, ma vuole proposte concrete, vuole insomma « l'ambasciatore», che alla fine arriva nella persona di una commare che scioglie tutte le incertezze di Mariuccia carciratella, con una richiesta ufficiale e anche liberatrice (t'aricacce). Ed ecco il testo del canto d'amore di Monteodorisio:

 

Ched'à 'ssa ggiuvenétte che si lamente?

Vò lu 'mmasciatore ore e mumente.

Lu 'mmasciatore vò essere arialate

lu fazzulette a chi ci l'ha mannate.

 

Carciratella mé, carciratella,

dimore la verità, ca t'aricacce.

Còma pòzze fa' pe' darete nu vasce?

Pije la palelle e va' pe' foche.

Si t'addummanne màmmete: « sȋ ntrittinute »,

lu vicinate n'ha tinute lu foche;

si z'arcunosce lu vasce ca ti so' date,

dije ca è state l'arie de lu foche.

Ucchie accinnarille che sempr'accinne,

vû fa' l'amore nchi me, picchè m'ci minne?

I' nin ci manne, ca sȋ piccirille,

ancora li cumpisce li quinicianne.

 

Quinice li so' fatte e sedici pure,

pije lu 'mmasciatore e ci li manne.

 

Ucchie nire che mi so’  ‘ntrate a lu core:

come la subbre che trapane la sole,

trapane la sole, trapane la sulette

cuscì trapane l'ucchie de 'sta ggiuvinétte.

Mo se ne vene la Natale santa,

s'ariverisce tutte le cummare.

Jame, cummara me', si vù mini,

la vigna mé sta 'ncoppe a la muntagne:

ci sta du' arbre di noce e di castagne,

tra marze e aprile li vujje sicà

pe' fa' lu telarucce a Mariucce:

la cassa d'aure e li licce di seta

l'andruarella di noce moscata;

noce moscata e noce moscatelle

quest'è la strade de le donne bbelle.

 Come si vede, nei primi quattro versi a rime baciate, il poeta, come rappresentante della tradizione popolare, immagina una fanciulla che si lamenta perché vuole « l'ambasciatore » per acconsentire all'amore di un giovane; ma l'ambasciatore, dice di rimando il poeta, vuole che gli sia dato il fazzoletto da portare a chi l'ha mandato. Ecco si fa avanti l'innamorato a chiedere un bacio all'amata. Seguono due coppie di distici a botta e risposta e una ripresa. Con la quartina a rime baciate (Ucchie nire, ecc.) si concludono i tentativi del giovane, che è sempre più preso da passione d'amore per la fanciulla. Ma niente da fare, Mariuccia ci sta solo con l'impegno matrimoniale, ed egli cede finalmente e, a garantire la serietà delle sue intenzioni invita la « cummare », l'ambasciatrice, ad andare alla sua vigna sulla montagna dove, tra marzo e aprile, segherà il noce e il castagno per costruire il telaio (lu telarucce) per Mariucce.

 A questo punto, però, si pone il problema dell'ultima parte del canto che, indubbiamente, è «contaminata» con la prima, ed è una variante del famoso strambotto sul telaio. Il Toschi in un importante studio, pubblicando uno strambotto raccolto a Ofena, in Abruzzo, dalla viva voce popolare, affronta di nuovo la questione precedentemente esaminata da Severino Ferrari, dal D'Ancona e poi dal Sapegno, « per vedere se riusciamo a definire con maggiore approssimazione i rapporti che intercorrono fra il sonetto, lo strambotto quattrocentesco e gli strambotti raccolti dalla viva voce dei volghi ». Il tema, difatti, dell'innamorato che vuol fare un telaio all'amata, probabilmente come dono di nozze, è assai antico e lo ritroviamo in un « sonetto caudato e in un " rispetto ", trascritti in codici che risalgono a circa la metà del Quattrocento ma che contengono composizioni le quali possono essere riportate agli ultimi anni del sec. XIV o ai primi del sec. XV ». Il Toschi, quindi, dopo aver riportato lo strambotto di Ofena, il cui tema è appunto il proposito di un giovane di fare fu telare a la mia bella, lo analizza e lo pone in relazione ad analoghi componimenti della Sicilia, Calabria, Lu­cania, Puglia, Campania, Molise, Abruzzo (un canto alterato di Lanciano), Marche, Umbria e Toscana, e dal confronto tra il sonetto quattrocentesco e gli strambotti raccolti dalla viva voce popolare, e in particolare, lo stram­botto di Ofena e i riscontri con la versione di un analogo canto di Lanciano, dimostra i possibili rapporti tra sonetto e strambotto e deduce che « anche il sonetto, nonostante la sua preziosità, è entrato nella tradizione orale per­dendo alcuni dei tratti di maggiore artificio, ma rimanendo ben riconosci­bile nelle sue linee essenziali» .

 Ebbene il canto di Monteodorisio sembra appunto portare altra confer­ma alla tesi del rapporto tra sonetto e strambotto; esso, tuttavia, pur ri­prendendo e « contaminando » motivi che ricorrono in canti e strambotti di altre regioni, si presenta come una creazione originale, oltre che per la struttura strofica perché ritrae al vivo ambiente, costumi e spirito della gente del paese. Già nei primi quattro versi il motivo della richiesta dell'amata è caratterizzato dall'intervento dell'ambasciatore e dal dono del fazzoletto come pegno. Nel canto amebèo che segue, (questo sì, tutto originale), fin al primo verso, col vocativo ripetuto appassionatamente Carciratella me', carciratella, siamo portati nell'ambiente rusticano, dove la ragazza vive chiusa in casa come in carcere. E l'espediente che l'innamorato le suggerisce per un incontro e le scuse che le fornisce per rispondere agli eventuali rimproveri della madre sono di una popolaresca ingegnosità e di una espressività schiettamente poetica: se z'arcunosce lu vasce ca ti so' date / dije ca è state l'arie de lu foche. Anche il motivo degli occhi « che trapanano il cuore come la subébia trapana la suola », non è nuovo, ma assume un tono di passione fatto più vivo dall'ostinazione dell'amata.

 Ed ecco infine lo strambotto del telaio che « contamina » il canto ame­bèo. Notiamo subito che il motivo è introdotto in un'atmosfera di solennità sacra, il Natale, quando s'ariverisce tutte le cummare (interessante nota di costume). Ed è alla comare che l'innamorato promette, e nella circostanza la promessa assume quasi il valore di un giuramento, che tra marzo e aprile segherà nella vigna a monte il noce e il castagno per fare il telaio a Mariuccia; e anche qui c'è il tocco di colore locale. Nella ripresa la strada che in altri strambotti è detta profumata, è caratterizzata dalla presenza delle « donne belle », presenza che vi porta una nota di gentilezza, il profumo dell'onestà.

 Il canto, mi è stato riferito dall'informatrice, era assai in voga a Mon­teodorisio fino a pochi anni fa, e mi è sembrato uno fra i più belli dei tanti canti popolari abruzzesi, oltre che per l'originalità del disegno strofico e la vivacità del dialogato, per la spontaneità e la delicatezza dei sentimenti e per una certa civetteria femminile, ispirato com'è ad una semplice e inge­nua vicenda d'amore paesano.

EMILIANO GIANCRISTOFARO

venerdì 6 maggio 2016

Il porcellato





purciullatə s.m. [lat. tardo buccellatum]. - Buccellato, pane cotto con ingredienti dolci: è un dolce semplice, nato sulla nobilitazione del pane, simile ad una pagnotta rotonda di circa un chilo, di colore scuro, che al centro si apre come un fiore, assumendo una tonalità più chiara. I pani vengono depositati nella chiesa parrocchiale dove vengono benedetti e portati in processione. A conclusione della cerimonia vengono venduti ai fedeli. La ricetta è tenuta in gran segreto e coloro che si cimentano nella sua realizzazione non riescono mai a riprodurne il sapore originale. Il pane viene consumato anche intinto nel vino cotto, soprattutto dai più anziani, che tendono a conservare la tradizione.

mercoledì 13 gennaio 2016

Lu Sant'Andonie




Sabato 16 Gennaio dalle ore 17.30

La ProLoco, l'Associazione Musicale, il Gruppo Giovani e l'Azione Cattolica

ORGANIZZANO il rito del Sant'Antonio per le vie del paese!

venerdì 16 gennaio 2015

Lu Sand’Andunie




Che la festa di Sant'Antonio abate, che cade il 17 gennaio, sia una circostanza importante soprattutto nel mondo contadino è ormai un dato acquisito, come pure la sua persistenza nella tradizione popolare abruzzese; si tratta dell'inizio nel mondo popolare del ciclo di Carnevale. Quale santo antistregonico e burlone, sant'Antonio abate è ancora molto festeggiato con canti di questue e residui di sacre rappresentazioni il cui tema centrale è il conflitto tra il demonio tentatore e l'eremita. Fino a pochi anni fa v'era quasi dappertutto una vera e propria rappresentazione scenica. La vigilia della festa, a tarda ora, faceva il giro del paese, una comitiva, di cui il componente principale raffigurava il Santo anacoreta, con la mantellina, il cappuccio, una fluente barba di stoppa, il bordone e il campanello. Non mancavano poi il diavolo, gli eremiti e anche cinque sei musicanti che accompagnavano il canto del santo, il quale terminava sempre il suo dire con la richiesta di denaro, vino, dolci, polli, formaggio, uova e salsicce: O salsicce o salsicciotto Vino crudo o vino cotto, Sia pur l'osso del prosciutto Sant'Antonio accetta tutto E qualche volta era assai pretenzioso: Ci darete, per assaggio Cento libbre di formaggio E, per grande devozione, Di salsicce un milione. E specialmente erano desiderate le salsicce, sia perché "di stagione", sia perché esse si fanno con carne di maiale, l'animale caro a sant'Antonio e quindi si mangiavano ... per devozione. La rappresentazione scenica si riferisce certamente alle tentazioni subite dal santo, e difatti vi si fa comparire il diavolo. La stessa richiesta di salami, formaggio e vino e dolci, fatta sempre da un santo anacoreta, che condusse una vita tanto austera, non deve sembrare strana, perché egli fu tentato nel deserto anche con quelle leccornie. Un'altra tradizione ormai scomparsa era quella del maiale pubblico di sant'Antonio: un maiale, a cui dopo la benedizione del prete veniva messo un campanellino come segno di riconoscimento, veniva lasciato libero di circolare libero durante tutto l'anno per il paese perché diventava del santo, cioè della collettività, e tutti dovevano alimentarlo fino al 17 gennaio dell'anno successivo, quando, ingrassato, veniva sorteggiato in una riffa, il cui ricavato serviva a coprire le spese della festa, mentre un altro maialetto prendeva il suo posto in un analoga cerimonia di consacrazione.

giovedì 16 gennaio 2014

mercoledì 15 gennaio 2014

Pe cchì aija vutà?

Mò ch'a Mundrisce si fa l'elezione
vutamo tutti contre a don Peppone.
La fiamma ci 'hanne messe a chilla liste;
ma che z'avema fà de li fasciste!!
Da sotte a la via nove a lu castelle
manche nu vote a Riche e Pacchianelle.
Ca si vence la fiamma a 'stu paese
senza fatije resteme e senza spese.
Si 'nce vuleme mette mmezze a gguaie
nen vutate Riccarde, Nicolaie,
nè Marrollo, nè Festa, nè Pippine,
nchi Mucci, Pasturelle e don Titine.
Le strade sem'arfatte di cemente
da san Francesche su a Cape di Rocche;
la fiere sem'avute, l'avviamente,
l'acqua a le Scosse e ancora altre ce attocche,
l'ammazzatoio, mò vè l'acqua verde;
nchi st'opere la «Croce» pò mà perde ?
Già z'è capite come va a finire
nche la Democrazia nen c'è da fare;
ce scummettesse decimila lire
ca torna n'altra colta a comandare.
Se volete la Pace e l'armonia
votate tutti la Democrazia!


lunedì 6 gennaio 2014

venerdì 30 agosto 2013

Lu purciullatə




purciullatə [lat. tardo buccellatum] - Buccellato, pane cotto con ingredienti dolci: è un dolce semplice,nato sulla nobilitazione del pane, simile ad una pagnotta rotonda di circa un chilo, di colore scuro, che al centro si apre come un fiore, assumendo una tonalità più chiara. I pani vengono depositati nella chiesa parrocchiale dove vengono benedetti e portati in processione. A conclusione della cerimonia vengono venduti ai fedeli. La ricetta è tenuta in gran segreto e coloro che si cimentano nella sua realizzazione non riescono mai a riprodurne il sapore originale. Il pane viene consumato anche intinto nel vino cotto, soprattutto dai più anziani, che tendono a conservare la tradizione.

domenica 19 maggio 2013

domenica 10 febbraio 2013

sabato 9 febbraio 2013

sabato 2 febbraio 2013

La macellazione del maiale: rito, tradizione, necessità

La macellazione è un rito antico legato ad un mondo ormai quasi in via d’estinzione, un mondo contadino strettamente legato alla terra ed ai suoi frutti, che segue il ritmo naturale del tempo e delle stagioni e conosce il sacrificio e la fatica del duro lavoro quotidiano. Nella cultura contadina del nostro territorio, l’uccisione del maiale assume un forte valore simbolico ed è un momento di sentita aggregazione sociale. E’ un giorno di festa lungamente atteso, nel quale, finalmente, si raccolgono i sospirati frutti di mesi e mesi passati amorevolmente ad allevare, nutrire e curare il maiale, nella certezza che, anche da quelle giornaliere attenzioni, dipendesse la bontà e l’abbondanza delle sue carni. E’ un giorno dove si sacrifica un essere simpatico e grufolante quasi divenuto, ormai, membro della famiglia: il maiale. Ma il momentaneo dispiacere per la perdita è ben ricompensato dalla quantità di carne e di lardo. La tradizione vuole che la macellazione avvenga con i primi rigori invernali: i mesi più propizi sono Dicembre, Gennaio e Febbraio, le rigide temperature, infatti, raffreddano ed asciugano più velocemente la carne e, di conseguenza, favoriscono una più efficace e veloce lavorazione. Il consumo del maiale segue sempre un iter cronologico dall’uccisione alla fine dell’anno: subito dopo la macellazione vengono consumati sanguinacci, ossa bollite, cicciolata, poi in successione salsicce, salame, a fine estate la pancetta poi le coppe e la ventricina.

giovedì 17 gennaio 2013

Lu Sand’Andunie



Che la festa di Sant'Antonio abate, che cade il 17 gennaio, sia una circostanza importante soprattutto nel mondo contadino è ormai un dato acquisito, come pure la sua persistenza nella tradizione popolare abruzzese; si tratta dell'inizio nel mondo popolare del ciclo di Carnevale. Quale santo antistregonico e burlone, sant'Antonio abate è ancora molto festeggiato con canti di questue e residui di sacre rappresentazioni il cui tema centrale è il conflitto tra il demonio tentatore e l'eremita. Fino a pochi anni fa v'era quasi dappertutto una vera e propria rappresentazione scenica. La vigilia della festa, a tarda ora, faceva il giro del paese, una comitiva, di cui il componente principale raffigurava il Santo anacoreta, con la mantellina, il cappuccio, una fluente barba di stoppa, il bordone e il campanello. Non mancavano poi il diavolo, gli eremiti e anche cinque sei musicanti che accompagnavano il canto del santo, il quale terminava sempre il suo dire con la richiesta di denaro, vino, dolci, polli, formaggio, uova e salsicce: O salsicce o salsicciotto Vino crudo o vino cotto, Sia pur l'osso del prosciutto Sant'Antonio accetta tutto E qualche volta era assai pretenzioso: Ci darete, per assaggio Cento libbre di formaggio E, per grande devozione, Di salsicce un milione. E specialmente erano desiderate le salsicce, sia perché "di stagione", sia perché esse si fanno con carne di maiale, l'animale caro a sant'Antonio e quindi si mangiavano ... per devozione. La rappresentazione scenica si riferisce certamente alle tentazioni subite dal santo, e difatti vi si fa comparire il diavolo. La stessa richiesta di salami, formaggio e vino e dolci, fatta sempre da un santo anacoreta, che condusse una vita tanto austera, non deve sembrare strana, perché egli fu tentato nel deserto anche con quelle leccornie. Un'altra tradizione ormai scomparsa era quella del maiale pubblico di sant'Antonio: un maiale, a cui dopo la benedizione del prete veniva messo un campanellino come segno di riconoscimento, veniva lasciato libero di circolare libero durante tutto l'anno per il paese perché diventava del santo, cioè della collettività, e tutti dovevano alimentarlo fino al 17 gennaio dell'anno successivo, quando, ingrassato, veniva sorteggiato in una riffa, il cui ricavato serviva a coprire le spese della festa, mentre un altro maialetto prendeva il suo posto in un analoga cerimonia di consacrazione.

martedì 7 febbraio 2012

Dominik Manzi e i bomboloni alla crema e nutella

Esiste un dolce più goloso dei bobmoloni alla crema? Oggi il bravissimo Dominik Manzi ha suggerito la ricetta dei bomboloni alla crema e alla nutella, preparandoli per la gioia di tutti i convenuti.

Dominik Manzi il pasticciere


Lella addetta alla crema


Gianni l'assaggiatore

giovedì 2 febbraio 2012

La Canəlèṷrə


La Candelora, festa della Purificazione di Maria, che cade il 2 febbraio, in cui si svolge la tradizionale benedizione delle candele.
Fino a pochi anni fa la sera della vigilia della Candelora si faceva il giro del paese cantando:  

è dumanə è la Canəlèṷrə, 
u ci nanghə u ci pieuvə
da l’immernə semə feurə, 
villə villə nu sulutillə 
quaranta jurnə di virnitillə,

Domani è la Candelora,
o che nevichi o che piove dall’inverno siamo fuori,
ma se c’è il sole avremo altri quaranta giorni d’inverno.

La canzone terminava il suo dire con la richiesta di vino, dolci, salsicce, uova ecc.:

Io so sapute ca s’iccise lu porce
Si ni mi lu vu dà ti si pozza fracità.
Si mi dì na saggiccelle
mi li mette a la fissirtelle
Si mi li dì nu ficatazze
i pe quelle ci vai pazze
Di mi li dì nu saggicciotte
i nghi quelle mi ci’abbotte
Si mi li dì na vintricine
chiane chiane mi ci’avvicine
Si mi li dì nu bicchire di vine
s’arvedeme dumanematine.