giovedì 25 aprile 2024
E' venuto a mancare Antonio Manzi
sabato 20 aprile 2024
L'acqua miracolosa
Il popolo abruzzese 20 dicembre 1886
Monteodorisio Dicembre 86
(F. Curci) Il fatto
dell’acqua miracolosa di
Monteodorisio val la pena di essere raccontato.
A circa 50 metri
dal paese v’ha una chiesetta diruta, la quale doveva esser ricostruita non
esistendo in quel comune che la sola parrocchia. Innalzata in onore della
Madonna delle Grazie, la cadente chiesetta sorge a piè del paese in una
posizione aggradevolissima, da poi che, mentre a dritta ed alle spalle è
circondata dal caseggiato di Monteodorisio, a manca la campagna s’avvalla
verdeggiante, coronata in fondo da colline diafane, che si sfumano in un
orizzonte purissimo.
Per i bisogni della
fabbrica che va facendosi fu necessario lo scavamento di un pozzo, il quale
alla profondità di circa otto metri, dette fuori una cert’acqua verdognola,
piuttosto melmosa dal sapore di latte.
Or si racconta,
che, in un certo giorno, un villano, menando a pascolo alcuni maiali, attinse di
quell’acqua e la porse alle assetate sue bestie, sacre a sant’Antonio, le quali
ebbero a morirne non appena bevutane qualche goccia. Qualche giorno dopo varie
pecore, per la medesima ragione, andarono al mondo di là. Era chiaro che la
Madonna non permetteva ai quadrupedi di dissetarsi al pozzo scavato.
L’avvenimento cominciò a fare il giro del paesetto e dei comuni circonvicini.
Più tardi un
pover’uomo, ammalato agli occhi, ebbe la fede
di lavarli con l’acqua prodigiosa, e guarì; quindi uno zoppo camminò, un muto
parlò, un sordo udì…. Le grazie, tanto lungamente ed inutilmente impetrate,
cominciarono a piovere dal cielo sempre per opera e virtù dell’acqua miracolosa,
e con le grazie e le guarigioni, piovvero i donativi alla chiesetta. Fu una
vera baraonda.
I cittadini di
Monteodorisio avevano a loro disposizione il modo di sbarazzarsi dei medici e
degli speziali. L’acqua della Madonna bastava a tutto e per tutti.
Le processioni
cominciarono a seguirsi giornalmente: eran donne, uomini, vecchi, giovani,
fanciulli che traevano dai lontani comuni salmodiando a squarcia gola, ed anche
la cittadinanza di Monteodorisio, per un segno fatto da una certa donna,
dovette indursi a fare la sua brava processione, tanto per calmare le ire della
Vergine, disgustata del poco culto, che le rendevano quei fedeli, fra cui aveva
avuto il ghiribizzo di far sorgere una fonte
di benefizii.
E tutto questo nel
secolo XIX dopo la rivoluzione francese!
Nel raccontare
questi fatti noi non crediamo di far onta alcuna a quella popolazione agricola:
desidereremmo solamente che le classi dirigenti senza pigliare a combattere
rudemente di fronte la buona fede e la cieca superstizione di quelle masse,
venisse con dimostrazioni pratiche a distruggere pian piano il dannoso
fanatismo che le avvolge ed acceca.
E siam sicuri che
tutto questo potrà ottenersi, pensando che in Monteodorisio la famiglia
Suriani, De Cristofaro, Scardapane, Raimondi e tante e tante altre, formano per
intelligenza e serietà di propositi, tale una forza da poter facilmente opporre
una diga alla crescente superstizione della classe poco istruita. Senza dire
che l’ottimo e simpatico giovane messo a capo del comune, il sig. Federico
Scardapane, all’accortezza ed al buon volere accoppia intelligenza ed amore
vivissimo pel vero progresso del paesetto da lui amministrato.
giovedì 18 aprile 2024
Avvenimento nel Simulacro di Maria Santissima delle Grazie in Monteodorisio - 1886
L’anno 1886 il di 20 settembre alle ore 7 a.m.
Noi qui sottoscritti Arciprete e Sacerdoti di questo
Comune di Monteodorisio ci siamo personalmente conferiti nella chiesuola
suburbana di nostra giurisdizione, sotto il titolo di Maria Santissima delle
Grazie, onde acclarare quanto di vero od immaginario fosse avvenuto la sera
precedente, circa le 7 p.m. sulle macchie rosse che alcune persone devote han
creduto osservare sulla mano dritta del Simulacro chiuso dentro nicchia con
vetrina, di detta Vergine. Essendosi da noi tre e da altri forestieri e paesani
compiute a vetrina chiusa le prime osservazioni per cui rifrazioni e
riflessioni di raggi potean dar luogo ad ottiche illusioni, si è immediatamente
proceduto ad altre indagini a vetrina aperta.
Si vedeano delle piccole macchie rosse nella prima falange
dell’indice della mano dritta di esso Simulacro; ma essendosi strofinato un
fazzoletto bianco su quei punti rossi questi son rimasti intatti, senza che il
colorito si fosse trasfuso in detta pezzuola, segno evidente che i punti rossi non partivano da tinta fresca applicato
poi, previa bagnatura con molte gocce di acqua purissima, detto fazzoletto
sugli stessi punti rossi, la tinta rossa si è trasfusa nella parte bagnata,
offrendo così un colore sbiadito, segno che tinta fosse disciolta e la mano è
rimasta tersissima.
Si fa pure osservare che essendosi reiterate volte di sera
e di mattino nei seguenti giorni ripetute le stesse indagini, detta mano si è
trovata sempre tersa.
Ciò mena alla naturale conseguenza, che le rosee tinte non
più apparse in quei punti, né in altri di detta Immagine, nulla di
soprannaturale possa arguirsi per continuazione di avvenimento.
A una premura si è pure distaccato il merletto che cingeva
il polso della stessa mano, in parte macchiato, ma portandosi così il merletto
come la pezzuola sucennata per osservarsi dal farmacista Signor Luigi de
Cristofaro, ed essendosi pur ricordato, che una corona di confetti colorati
erasi per molto tempo mantenuta sospesa appunto sulla indicata mano, si è
dedotto che la tinta dei confetti disciolta all’azione del caldo e dell’umido,
abbia prodotto quelle rosee macchie e null’altro.
Nondimeno si sono gelosamente conservati in Chiesa il
merletto e il fazzoletto finché in tutti i decorsi giorni si sono ripetute le
indagini sul Simulacro; ma nulla di nuovo si è potuto rimarcare ne nell’uno, né
nell’altro, onde i menzionati oggetti, per qualunque ulteriore osservazione, si
presenteranno all’Autorità Ecclesiastica.
Finalmente, in quanto alle prodigiose guarigioni
attribuite da paesani e forestieri all’uso dell’acqua attinta da un pozzo, che
per ordine del Municipio si è scavato di recente a comodo di quelli che
intervengono alla fiera stabilita legalmente per la prima Domenica di settembre
nelle adiacenze della Chiesuola, nulla di positivo possiamo acclarare, tranne
le pubbliche voci, ed il concorso di devoti, che da vari giorni forma uno
spettacolo veramente edificante.
Così redatto e chiuso Monteodorisio 27 settembre 1886
Cesare Canonico Raimondi
Nicola Sacerdote Fanghella
Vincenzo+ Arciprete Iarussi
Al Reverdissimo Monsignor Vicario Generale
D. Graziano Canonico Bonacci in
Vasto
Monteodorisio 27 settembre 1886
Oggetto: Avvenimento nel Simulacro di Maria Santissima
delle Grazie in Monteodorisio
Reverendissimo Monsignor Vicario generale
Le fo tenere qui accluso il processo verbale firmato da
me, e da due Sacerdoti Raimondi e Fanghella, dai quali ho creduto farmi
assistere nelle indagini accurate compiute fin’oggi per acclarare quanto di
vero od immaginario fosse avvenuto nel Simulacro di Maria Santissima delle
Grazie nella sua chiesuola suburbana di mia giurisdizione, nonché sull’acqua
dell’adiacente pozzo, cui si attribuiscono dalla pietà dei fedeli mirabili
guarigioni. Esso verbale che fu aperto omnibus paesani e forestieri alle 7 a.m.
del 20 corrente mese, è stato chiuso oggi dopo quotidiane osservazioni fatte
mattina e sera, se vi fosse soprannaturali avvenimenti a gloria della
Santissima Vergine, ed a beneficio dei Popoli.
Era ben inutile e stolto importunare i Superiori con
monche relazioni, sena prima compiere qui il Parrocchiale dovere, anzi forse
poidomani porterò tutto in persona.
La ossequio.
Il Parroco
Vincenzo Arciprete Iarussi
mercoledì 17 aprile 2024
Muore a soli 48 anni Roberta Cianci, stimato medico radiologo
Toccante il ricordo di Maria Amato, primaria dell’unità operativa di Radiodiagnostica dell’ospedale San Pio da Pietrelcina di Vasto: “Alla famiglia di Roberta Cianci, ai suoi amici, all’Istituto di Radiologia della Università di Chieti le mie condoglianze», scrive la dottoressa Amato sul suo profilo Facebook. «Un percorso doloroso, una malattia aggressiva e crudele ha tolto a tutti noi la bellezza di una persona gentile, occhi e sorriso indimenticabili, una mente brillante, una radiologa meravigliosa. Roberta è stata per chi l’ha conosciuta un grande dono”.
Il funerale della professionista si terrà domani alle ore 15.30, nella chiesa di San Nicola vescovo, a San Salvo, sua città Natale. Numerosi, nelle ultime ore, i messaggi di cordoglio, moltissime persone oltre a familiari e concittadini, si stanno stringendo da tutto l’Abruzzo intorno alla madre Anna, al padre Vivaldo, al fratello Graziano e ai suoi cari.
martedì 16 aprile 2024
Sull'arresto di Domenico Scardapane per possesso di un emblema settario
Nel giorno 30 del passato mese circa le ore 23 venne da me questo Sig. Giudice Regio ed in discorso mi disse aver ricevuto dal supplente di Monteodorisio in quel momento un verbale di denuncia fatta da Pasquale Sabellico di cui le accludo copia contro Domenico Scardapane di quel Comune per affari di carboneria.
Vasto 2 gennaio 1823
Non esitai un momento, inteso ciò, invitare questo
Tenente di Gerdarmeria perché di unita alla forza che qui risedeva si fosse
portato in Monteodorisio per arrestare lo Scardapane e fare contemporaneamente
una visita domiciliare per vedere se vi erano ... insegne carboniche ed ogni
altro oggetto. Malgrado le nevi e le pessime strade il Tenente si pose subito
in cammino e la sera del 30 istesso verso le ore due della notte giunse a
Monteodorisio ed arrestò lo Scardapane, il quale nel vedersi arrestato disse di
conoscere la causa del suo arresto.
Lo stesso Sig. Tenente passò a la casa dello
Scardapane e complici, mi ha risposto di nulla sapere e ch'era innocente.
A mio credere in forza dell'Art. 10 della legge del
28 settembre 1822 sia applicabile l'art. 17 di detta Legge e la competenza sia
della Corte Militare.
In questa circostanza le fo rimarcare che
l'esattezza e lo zelo dimostrato dal Sig. Tenente Marzano nell'eseguire
l'incarico merita ogni lode ed io le prego di esternare al medesimo il suo
compiacimento e far conoscere ai superiori la condotta lodevole del detto Sig.
Tenente.
sabato 13 aprile 2024
A Monteodorisio rivive il Medioevo
MONTEODORISIO. Si intitola “Ma che bel castello” la mostra storico-archeologica che sarà inaugurata domenica alle 9,30 nel fortilizio e che si potrà visitare fino all’Epifania tutti i giorni dalle 17 alle 20 (ingresso gratuito). Sono oltre una cinquantina i reperti esposti, degli oltre 1500 rinvenuti durante le campagne di scavo condotte dal 2003.
I curatori hanno
privilegiato il Medioevo.
E a partire da questo periodo, infatti, che
Monteodorisio comincia a rivestire un ruolo di prestigio lungo la fascia costiera,
mentre Histonium (Vasto) tramonta.
I lavori e l’allestimento museale sono stati
presentati dal sindaco, Ernesto Sciascia, da Marco Rapino della cooperativa
Parsifal che ha eseguito gli scavi, e dal direttore scientifico, Davide
Aquilano.
La mostra, ideata e coordinata da Michele Massone, dell’associazione
culturale vastese Lightship, è stata realizzata con un accordo di programma
quadro tra Stato e Regione finanziato dal Cipe.
«Gli scavi hanno contribuito a far luce su un capitolo
sconosciuto della storia di Monteodorisio. I reperti ci permetteranno di
arricchire il museo», afferma Rapino.
«Tra l’ottavo e il dodicesimo secolo sulla sommità della
collina esistevano delle strutture in legno, una torre di avvistamento e difesa
ed un recinto», spiega Aquilano, «a distanza di un paio di secoli, la
superficie disponibile per la fortezza si è ampliata e nel 15° secolo è stata
dotata di torri con una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana al centro».
Di
particolare importanza sono i manufatti in pietra ollare rinvenuti.
Veniva
lavorata sin dalla preistoria nell’area alpina.
La diffusione e la presenza a Monteodorisio si
potrebbe spiegare con le rotte di distribuzione lungo l’Adriatico e da lì
attraverso le valli dei fiumi Trigno e Biferno. La notevole quantità di
vasellame trovato è una conferma del vivace sistema di scambi e traffici
intorno al sito del castello», aggiunge Aquilano.
E tra il vasellame c’è anche un’anfora islamica.
«Siamo in attesa di esami di conferma sulla provenienza.
L’area sarebbe quella della Mesopotamia del dodicesimo secolo. Se le ipotesi
dovessero trovare conferma, sarebbe una ulteriore testimonianza della fiorente
attività commerciale», conclude il direttore.
Simona
Andreassi
giovedì 11 aprile 2024
PANFILO DI GIACOMO (Monteodorisio) ... IL FACCENDIERE
Alle 14 del pomeriggio entrò in paese una turba di facinorosi, un manipolo formato da personaggi reclutati negli Abruzzi fra più esagitati, ingordi e sanguinari.
Li comandava tale Panfilo di Giacomo, "miserabile faccendiere dell'infima plebe " - dice un testimone - che, su di un cavallo di razza, si presentava alla testa dei suoi uomini urlanti e quasi tutti ubriachi, mantenendo in pugno una bandiera bianca con lo stemma dei borboni e chiamando a se la folla con le grida di Viva Francesco II.
I paesani di Monteodorisio, nell'assistere a quella lugubre sfilata, pensarono ad una dimostrazione "politica" inscenata dai fanatici che gridavano in continuazione " Viva Francesco II ", ma ben presto si dovettero ricredere. I briganti, altri li chiamavano " reazionari", si diressero al posto di guardia, e quivi rialzò gli stemmi del Borbone, strapparono i regolamenti costituzionali, si appropriarono delle armi della cancelleria comunale; fece dire in chiesa l'Inno Ambrosiano e nominò un nuovo sindaco.
L'indomani, primo ottobre, i reazionari s'impadronirono della valigia postale, fermando altresì D. Giuseppe De Luca, guardia nazionale di Vasto, che, caduto infermo ad Atessa, veniva rinviato in patria. Poi si prepararono a respingere la pubblica forza che veniva per reprimerli.
Questa si mosse nella mattina del suddetto giorno da Dogliola, giunse nel territorio di Monteodorisio nelle ore pomeridiane, e impose, ma inutilmente, agli insorti una pacifica sottomissione.
Costoro - narra un altro testimone - " si schierarono come una siepe alla china del monte ( nel cui spianato giace il paese ) di ricontro alla strada che la forza pubblica doveva percorrere, e spararono alcuni colpi, ai quali venne risposto con una buona scarica, al rombo della quale tutta quella bordaglia spulezzò"; e così ebbe termine la commedia.
In tale scontro, rimasero uccisi tre uomini e due donne da parte degli insorti. Si eseguirono molti arresti, e fra gli arrestati vi furono anche parecchi innocenti.
Il primo paese contro cui si usò la forza fu Monteodorisio ed a riguardo una relazione della Gran Corte Crimininale di Chieti così recita a: "Nei giorni trenta settembre e primo ottobre, in cui le armi borboniche erano profligate nei piani di Capua e Santa Maria, un tal Panfilo di Giacomo, miserabile faccendiere dell'infima plebe, suscitava un sommovimentoreazionale nel paesello di Monteodorisio. Ai due pomeridiane entrava nell'abitato alla testa di una turba di villici, raccolti nella campagna, scaraventando all'aria una bandiera bianca alla cui punta dondolavano le immagini borboniane, e chiamando a sè la fola con le grida Viva Francesco II. E tosto si diede ad instaurare il caduto governo di costui, Panfilo si diresse al posto di Guardia, e quivi rialzò gli stemmi del Borbone, abbigliando i ritratti di moccichini bianchi: fece a pezzi i decreti e regolameti costituzionali; s'impadronì delle poche armi lasciate dalle guardie di servizio; s'impossessò della cancelleria comunale, e ractosi in chiesa fè solennizzare con l'Inno Ambrosiano e le sacre cerimonie il felice ritorno di Re Francesco in Napoli. La sera le campane a distesa e i falò e le luminarie accrebbero il brio della festa.
La notte la parte attiva di quei marmocchi insorti stettero in veglia a manipolare il riordinamento del vagheggiato governo. Fu invasa all'improvviso la casa del Sindaco dimesso, perché avesse esibito il Decreto con cui re Francesco avea ribassato a grana 6 14 il prezzo del sale fin da quando aveva scemato il prezzo del tabacco, e intanto si era ciò tenuto occulto per maligno fine. Il Perrozzi ebbe a sudar freddo per capacitarli che quel Decreto non era stato mai emanato e con tutta la febbre che lo incolse per la patita battisoffia, dovette seguire quei tristi nella casa comunale e quivi accettare le nuove funzioni di Sindaco, presente il Cancelliere, e dopo la rivista censoria de' principali cespiti della rendita. Fu ordinato ancora il disarmo de' proprietari civili; fu ingiunto a tutti di armarsi, e fu vietato ai naturali di uscire dal Comune, sì per impedire la che la notizia arrivasse al capoluogo, e sì perché tutti dovevano concorrere alla grad'opera del ripristinato governo.
A questo medesimo intento s'impadronirono nel 1 ottobre della valigia postale, e fermarono D. Giuseppe De Luca Guardia nazionale di Vasto, che caduto infermo in Atessa, era rimandato in patria.
E in mezzo a tanta ressa ed affaccendamento di cose, i detti ribelli non tralasciavano di armarsi fino ai denti di spiedi e di tutti gli'istrumenti rurali e maneschi, oltre ad una buona diecina di schioppi; risoluti ed ordinati a voler impedire l'ingresso della forza pubblica.
La quale infatti, istruita della inserruzzione, moveva da Dogliola la mattina del detto dì 1° ottobre, ed alle prime ore pomeridiane appariva nei tenimenti di Monteodorisio. Furono mandati dal Sottogovernatore due messaggi di concordia e pacifica sottomissione.
Respinti, fu giocoforza spingersi in avanti. Gli insorti schierarono come una siepe alla china del monte (sul cui spianato giaceva il paese) di riscontro alla strada che la forza pubblica doveva percorrere. All'appressarsi di questa furono gittati dai ribelli alcuni colpi, e fu loro risposto con una buona scarica; al rombo della quale tutta quella bordaglia spulezzò; e così ebbe termine la commedia (sic).
In tale scontro restarono uccisi tre uomini, 2 femmine, da parte degli insorti. Entrata la forza pubblica nell'abitato procedè all'arresto di quanti individui trovò nelle strade e sugli usci delle loro case, e continuò a fare los tesso nei giorni susseguenti.
Ciò diede alla giustizia impaccio non lieve, nel raccolgiere la istruzione; perocchè si vide costretta non pure a liquidare i veri colpevoli, ma a chiarire ancora gli innocenti, ingiustamente tradotti in carcere. Così con tre successive deliberazione della Corte, fu renduto alla libertà un mezzo centinaio di detenuti, ed il numero de' giudicaili si è ridotto a 57, compresi i latitanti".
I primi fermenti della sommossa si erano manifestati a Monteodorisio fin dal venerdì precedente, giorno 28 settembre. Da parte di alcuni cittadini maggiormente responsabili si era cercato, con un certo successo, di tenere sotto controllo la situazione per cui il sabato 29 e la mattina della domenica 30 erano passati tranquilli.
La sommossa scoppiò nel primo pomeriggio del 30 e ad essa parteciparono circa cinque-seicento persone.
Vista la situazione compromesa ormai in modo irrimediabile, il giorno 30 il supplente Comunale Giuseppe Suriani dava notizia della sollevzione al Giudice regio di Vasto, chiedendo aiuti.
Per lo stesso motivo il sergente Raffaele Scardpane si recava personalmente a Vasto dal capitano Beniamino Majo che, in assenza del Ciccarone, comandava la Guardia Nazionale. Sprovvisto di uomini, a causa della contemporanea duplice spedizione delle Guardie al seguito del Ciccarone e del Sottoindente Sigismondi, il Majo inviava lo Scardapane da quest'ultimo, a Dogliola.
All'avvicinarsi della Guardia Nazionale, che forte di circa 250 uomini al comando del Sigismondi avanzava dalla strada di Cupello, alcuni cittadini di Monteodorisio cercarono di persuadere i rivoltosi a dileguarsi, ma i capi di questi affermarono che erano pronti a battersi senza mai arrendersi a meno che la forza pubblica disponesse le armi ed inneggisse a Francesco II.
Disponendosi ad affrontare la Gardia Nazionale i rivoltosi trascinarono i galantuomini fuori delle loro case e li misero innanzi alle loro file. Nello scontro rimasero uccisi Francesco di Giacomo fu Antonio di anni 36, MArcellino COlameo di Carmine di anni 28, Paolo Pietropaolo e due donne: Anna Di Giacomo di Michele di anni 35 e Filoena Turco di Antonio di anni 25, tutti contadini.
I feriti fra i rivoltosi furono sette o otto mentre della Guardia solo tre.
I capi della rivolta Panfilo di Giacomo, il figlio Marcellino, Marcellino Pietropaolo, il figlio Antonio e Raffaele Colameo si davano alla campagna. I due Di Giacomo con il Colameo passavano invece a Gissi che era in rivolta e quindi a Guilmi ove animarono gli abitanti alla rivolta. La Guardia Nazionale del Distretto riuscì a catturarli, insieme con gli altri latitanti, solo dopo diverse settimane di appostamenti ed agguati.
Dei 57 imputati rimanevano incriminati solo 22 che però, in data 31 ottobre 1861 con sentenza della Gran Corte Criminale di Chieti, venivano tutti scagionati dal reato di attentato e cospirazione per distruggere e cambiare il Governo e di rivolta perché mancava l'elemeto di prova sia del progetto criminoso sia del concerto dei mezzi tendenti alla esecuzione d'un tal reato.
Venivano però dichiarati colpevoli di voci e di fatti pubblici atti a spargere il malcontento e lo sprezzo contro il Governo. Reato che venne però assolto in seguito alla Sovrana indulgenza del 17 febbraio 1861 per cui dei 22 incriminati furono condannati solo 7, con imputazione di resistenza alla forza pubblica.
La pena inflitta a tutti e sette fu di tre anni di reclusione per ciascuno ed il pagamneto delle spese di processo.
Luigi Smargiassi, Il vastese tra la crisi finale della monarchia borbonica e gli inizi delo Stato unitario - 2005
martedì 9 aprile 2024
Guerriglia e brigantaggio - Monteodorisio 1860
Cospirazione diretta a cambiare la forma di governo, istigazione della popolazione a prendere le armi contro il re Vittorio Emanuele, resistenza ed attacco alla Guardia nazionale, nomina di un nuovo sindaco, furto della valigia postale, fatti avvenuti tutti in Monteodorisio nei giorni 30 settembre e primo ottobre 1860, a carico di Panfilo di Giacomo ed altri 96 individui di quello stesso comune, appartenenti per lo più alla classe dei contadini; la Gran corte criminale, dopo aver con deliberazione interlocutoria ordinata la scarcerazione di molti di essi e l' archiviazione del procedimento a carico di altri, alcuni dei quali morti negli scontri a fuoco con le forze dell'ordine, rinvia a giudizio Marcellino di Giacomo, Marcellino Viti, Angelo Ottaviano, Antonio di Giacomo, Amadio Lucarelli, Gaetano Colameo, Salvatore ed Antonio Mirolli, Fedele Bottari, Antonio Santilli, Ermenegildo Piscicelli, Marcellino Pietropaolo, Antonio Pietropaolo, Raffaele Colomeo, Vito d'Angiò, Francesco e Michelangelo d'Ercole, Cesare Galluppi e Pasquale Ottaviano e con successive deliberazione del 31 ottobre 1861 condanna Amadio Lucarelli, Antonio di Giacomo, Antonio Pietropaolo, Nicola Maurizio di Pasquale e Raffaele Colameo alla pena di tre anni di reclusione ed ordina che tutti gli altri siano rimessi in libertà.
Organo della chiesa di san Giovanni Battista
Organo anonimo costruito nel 1757 ed attribuibile ai D’Onofrio.
Lo strumento
è ubicato nel transetto, a destra dell’altare maggiore, in una cantoria lignea
con parapetto mistilineo, convesso al centro, con specchiature corniciate
dipinte a finto marmo. Sotto questa cantoria, in origine, si trovava l’ingresso
principale.
La cassa è
lignea, addossata alla parete, con prospetto a tre campate divise da paraste
con decorazioni floreali lignee dorate. Sono presenti tre festoni di legatura
intagliati e dorati. Tra le campate e sul cornicione ondulato ricche
decorazioni dorate riproducenti motivi vegetali.
Le canne di
facciata sono 25, di stagno, distribuite in tre campate in altrettanti cuspidi
(9+7+9), con il labbro superiore sagomato a mitria e sormontato da punto a
sbalzo, le bocche allineate, il profilo piatto ed appartenenti al Principale
dal Sib1. La canna maggiore (Sib1) è tinta di grigio.
La tastiera
è di 45 tasti (Do1Do5 con prima ottava ‘scavezza’) con
diatonici in bosso con frontalini intagliati a chiocciola e cromatici ricoperti
con listello di ebano; questa copertura si conserva solo su quattro tasti.
La pedaliera
è a leggio, di 8 tasti (Do1Sil con prima ottava
‘scavezza’) costantemente unita al manuale. Su tutti i tasti della pedaliera è
stato aggiunto un listellino di legno per rialzare i tasti.
I
registri sono posti a destra della tastiera,
direttamente sulla cassa, azionati da tiranti con pomelli in ottone tornito.
Assenti i cartellini.
[Principale
8’] [Voce umana 8’
S. dal Do3]
[Ottava] [Flauto in
XII]
[Decima quinta]
[Decima nona]
[Vigesima
seconda]
[Vigesima
sesta]
[Vigesima nona]
[Tiratutti]
II
Tiratutti è a tirante con pomello in ottone
tornito azionante le file del ripieno dalla Decima quinta. A destra della
tastiera è presente una manetta di legno, sagomata, fissabile ad incastro,
relativa a una Zampogna posta dietro il somiere maestro. A sinistra della
tastiera, dietro una antina apribile, sono presenti due tiranti: il primo è
collegato al contro ventilabro di sinistra - nel somiere maestro - che forniva
aria ad una Uccelliera ora mancante; il secondo aziona l’apertura del canale
dell’aria sul somiere di basseria.
Lo strumento
è dotato di due mantici a cuneo, ciascuno a 4 pieghe, posti uno sopra l’altro
in un vano al di sotto del piano della cantoria, azionabili manualmente a leva.
Le trasmissioni sono meccaniche secondo i consueti sistemi.
Il somiere maestro è in noce, a tiro, chiuso da 2 ante assicurate da 4 naselli; all’interno 45 ventilabri a cuneo con guide laterali e 2 contro ventilabri per la Zampogna e l’Uccelliera. Tutti i ventilabri hanno la chiusura semplice sul tirante con striscia di pelle. Ordine delle stecche dalla facciata. 1. Principale, 2. Voce umana, 3. Ottava, 4. Flauto in XII, 5. Decima quinta, 6. Decima nona, 7. Vigesima seconda, 8. Vigesima sesta, 9. Vigesima nona.
Somiere di
basseria in noce, chiuso da un’anta assicurata da due naselli; all’interno 6
ventilabri a cuneo con guide laterali rivolti verso la parte inferiore della
secreta.
Il crivello è di legno.
La bocca delle canne interne è posta sotto il crivello. Sul somiere di basseria 6 canne di legno tinte di rosso per le note Do1-La1 del Principale azionate tramite sei listelli di ferro collegati ai primi sei tasti della tastiera. Ai lati del somiere maestro ci sono 10 canne di legno tinte di rosso così distribuite: (a sinistra) Do1 Mi1 Sol1 del- l’Ottava e Do1 e Mi1 del Flauto in XII, (a destra) Re1 Fa1, La1 del- l’Ottava e Re1 e Fa1 del Flauto in XII. L’Uccelliera, ora perduta, era posta a sinistra della cassa su proprio supporto. La Zampogna è posta dietro il somiere maestro e prende aria direttamente da esso; ha il piede, il corpo e la noce di piombo, gruccia, canaletto e accordatore di ottone. Le canne metalliche sono tutte cilindriche.
Lo stato di conservazione è
buono, manca solo l’Uccelliera e ci sono piccole perdite d’aria. Si conserva
tutto il materiale fonico e meccanico e l’organo è abbastanza suonabile.
È presente
la numerazione progressiva a inchiostro sulla tavola di riduzione della
tastiera (+ - 45) seguita dalla data «1757» sempre a inchiostro; numerazione
progressiva a inchiostro (+ - 45) anche sui ventilabri del somiere maestro e(+
- 6)su quello di basseria.
venerdì 5 aprile 2024
Soppressione del Convento di san Bernardino di Monteodorisio
Carlo de Nardis Delegato per la soppressione del Convento di S. Berardino in Monteodorisio.
Al Sig.re Intendente della Provincia
Carlo de Nardis
.
A 20 Giugno 1811 in S. Berardino, ed in presenza dell’infratto Regio Incaricato e Testimoni
Pasquale Falcucci à ricevuto e si obbliga come sopra
Io Mattia Mattioli sono testimonio presente
Io Notar Michelangelo del Greco sono testimonio presente.
Carlo de Nardis incaricato
Al signor Intendente della Provincia
Vasto lì 23 giugno 1811.
Descrizione ed inventario della Chiesa, Chiostro, Giardino
e Fabbrica del soppresso Monastero di san Bernardino di Monteodorisio.
La capienza di essa è quanto la chiesa, ma rovinata in modo che è stata abbandonata, vestendosi i sacerdoti per le sacre funzioni nel coro dell’altare maggiore. In essa vi è un armario[3] antico a sei stipetti dentro de’ quali vi sono solamente quattro candelieri di legname indorato. Vi sono due ginocchiatoi vecchi ed inservibili. Un lavamano grande di pietra. Tre tavolette per la santa Indulgenza. Due quadri vecchi che rappresentano santa Chiara e santa Margherita.
Nel campanile vi esiste una sola campana di peso di circa rotoli sessanta.
Una pissida indorata, la tazza del calice, la patena di essa anche indorata ed un piccolo vasetto ad uso dell’olio santo.
Un chiostro quadrato con vent’uno archi di fabbrica che dividono il convento dallo scoverto, dove vi sono due cisterne da acqua, cioè una coi pilastri, tetto e ruota di legno e l’altra con i soli pilastri a fabbrica.
Nel convento vi sono le seguenti porte dei locali: di una stanza che introduce al giardino, un’altra ad uso di cantina presso di cui segue un’altra ad uso di dispensa.
Una stanza per cucina, seguitando tre altre camere vacue al di cui prospetto altra camera addetta al fuoco comune con lavatoio fisso di pietra.
Un corridoio, che introduce al refettorio con i corrispondenti sedili fissi al muro: nel lato di detto refettorio vi è un altro corridoio per dove si cala alla cantina sotterranea.
Segue nello stesso lato una stalletta con la mangiatoia.
Nell’altro lato di detto chiostro vi è uno stanzone ad uso di ricovero di animali. Altra stanza ad uso di pagliaio.
Saliti nel dormitorio si trovano sedici camerette ed un finestrone. In un altro appartamento vi sono delle camerette tutte vacue e disabitate, una di esse è cadente. Dallo stesso dormitorio si salisce all’altro con covertura di tavole pittate a soffitto dove vi sono quattro camerette abitabili.
Il descritto monistero è circondato da circa sei tomoli di terreno ad uso di orto secco, dove vi sono quattordici viti grandi di uve scelte. Ventisei piedi di fichi di diversa qualità, tre piedi di noci, nove piedi di olivi, sette olmi, un cipresso, due piedi di amarene, due piedi di mele, due di amandorle, quattro di granati, due di cotogni, due di crisomele e sette quercette.
San Berardino 20 giugno 1811
Pasquale Falcucci à ricevuto e si obbliga come sopra
Io Mattia Mattioli sono testimonio presente
Io Notar Michelangelo del Greco sono testimonio presente.
Carlo de Nardis incaricato
Ai 26 agosto 1811
Al Ciambellano di S. M. Intendente di Abruzzo Citeriore
Al Sindaco del comune di Monteodorisio
Signor Intendente
M. Scardapane
Ministero del Culto
Il Gran-Giudice
Ministro della Giustizia e del Culto
A Sig. Intendente di Chieti
Signore
Essendosi degnata a concedere alla Chiesa matrice del comune di Monteodorisio i pochi arredi sacri rimasti nel soppresso convento di s. Bernardino di detto comune consistenti in talune statue di creta, pochi quadri in tela di diversi santi, alcuni mobili di legno e pochi vecchi ornamenti di altare, ve lo partecipo per l’adempimento e vi rinnovo, Sig. Intendente, la mia distinta stima.
[1] La parte del breviario
romano (lat. horae diurnae) che
contiene le preghiere della liturgia delle ore da recitarsi durante il
giorno.
[2] La cartagloria, spesso racchiusa
in una cornice e disposta sull'altare, contenente alcuni testi invariabili
della Messa stampati o manoscritti, era utilizzata
come sussidio per la memoria del celebrante.
Il termine cartagloria è composto da carta e gloria,
perché inizialmente conteneva il solo Gloria
in excelsis Deo.
[3] Forma ant. per armadio
giovedì 4 aprile 2024
Ottavio Suriani - Bozzeti del villaggio - Lanciano, 1895 - Rocco Carabba, editore
In
nitida ed elegante veste tipografica ha visto recentemente la luce questo
volumetto del Suriani, che, dopo i primi e vari lavori di tanti colti e
volenterosi corregionali - fra cui primeggiano il d'Annunzio, il Ciampoli, il de Nino - viene
ad illustrare un'altra parte, ed in forma sempre spigliata e vivace, della vita
popolare abruzzese. I bozzetti in
parola costituiscono invero altrettante storie di scene realmente accadute:
loro pregio essenziale è quindi la
naturalezza, la semplicità, la spontaneità. Leggendoli, la tradizione locale,
nel cozzo delle passioni e delle credenze che affannano il nostro popolo, torna
perciò a colorire viemmeglio tutto
quell'avvicendarsi di luoghi, di fatti e di sentimenti che nella
dipintura giusta e civettuola di tanti angoli di paesaggio, o bene si ricordano
a chi li conosce, o si fanno intravedere come un lontano quadro di Salvator
Rosa da chi non ha visitato l'Abruzzo che con la immaginazione o sulla carta
geografica.
Chiamate
pure audace, se volete, l' A. di
bozzetti a colore regionale, dite pure arditi taluni tentativi; ma voi
troverete certo nel libro dell' amico Suriani
il palpito della vita delle
nostre contrade anche tra le così dette complicazioni di psicologia,
naturalismo, simbolismo, ecc. Invano vi cercherete la scienza di
Balzac, la nota verista di Zola, la dolcezza di Saint-Pierre; avrete invece una impressione
tutta nuova, tutta propria, senza lamentare reminiscenze de' bozzettisti e de'
novellieri, che pure han fatto da tempo scuola in Italia: del de Amicis, p. e., questa lettura
non vi ricorderebbe che la
verosomiglianza nelle descrizioni ed anche un pochino la spontaneità dialogica
e narrativa. Ecco perché i Bozzetti del
villaggio possono dirsi, a mio
credere, originali: l'imitazione è suicida - ha detto Emerson - ed il Suriani
non ha imitato, egli à ritratto con fedeltà ed efficacia; ed è
cosi che nello splendido orizzonte de' nostri monti e de' nostri piani ha
girato lo sguardo, ha osservato, ha colto le impressioni più salienti, ha
studiato i caratteri più comuni....
Per
noi abruzzesi questi bozzetti
rappresentano tanti quadretti di generi: che importa se, lungi da noi, i colori
ne sembrano troppo carichi o troppo
sbiaditi? Eppoi, essi sono scritti per
noi, e se le rustiche figure che popolano i nostri paesaggi non si adattano
all'ambiente di altre regioni, che colpa ce n'ha l'autore? I bozzetti sono del villaggio, ed il villaggio non è che una pittoresca terricciuola
del sano e ridente Abruzzo! D'altronde, quale rimprovero si è mai mosso al
Verga per la sua Cavalleria rusticana?
Forse che questa non ebbe e non ha più lettori oltre il Faro? Forse che le
commedie del Gallina, per non dir d'altri, non oltrepassano il Veneto e le
Novelle brianzuole non si leggono tuttora generalmente come le Novelle
Siciliane?
-
Giorni addietro, per le vie d'una popolosa città d'Italia, girava un giovane e
robusto contadino sardo vestito del costume del suo paese; vi era chi ne
rideva, e che perciò? Forse che il contadino sardo doveva gettare alle ortiche
i propri abiti, per prenderne altri alla foggia del continente?...
I bozzetti del Suriani, dunque, tutto
sommato, piacciono ed attraggono, ed il critico che non li trova perfetti convenga
almeno che sono una promessa, un bella promessa.