Torquato Tasso |
Chissà se nel
suo castello, eretto sul colle di Monteodorisio, nel retroterra di Vasto, abitò
mai la bella ed energica fiorentina, Andreina Acciaiuoli. A lei, divenuta nel
frattempo contessa d’Altavilla, il Boccaccio dedicò il “De claris mulieribus”,
paragonandola per le sue virtù agli “uomini grandi”. Era sorella di Nicolò
Acciaiuoli, il fiorentino che aveva ottenuto la fiducia della vedova Caterina
di Taranto (e forse, dicono, ne era divenuto l’amante) ed esercitava abilità ed
astuzia a favore del figlio di lei, Luigi di Taranto, Andreina si era inserita
nella nobiltà napoletana sposando Carlo d’Artus che re Roberto doveva stimare
particolarmente: nel 1337 lo aveva fatto gran camerlengo e gli aveva dato i
feudi di Sant’Agata e di Monteodorisio; poi lo aveva nominato tra i suoi
esecutori testamentari. Morto il re (1343) si erano sca-tenate le questioni per
la successione al trono.
Quando, nel
1345, Andrea d’Ungheria, marito di Giovanna, fu ucciso, i sospetti caddero sui
partigiani del principe di Taranto, che aveva subito approfittato della
vedovanza della regina, per mettersele a fianco (anche se potrà ufficialmente
sposarla solo nel 1348). Ma i suoi nemici, che a loro volta aspiravano ad
impadronirsi della regina e del trono, si assunsero il compito di giustizieri,
e dopo aver suscitato tumulti popolari in Napoli si fecero consegnare dalla
regina, il 6 marzo 1346, quelli che ritenevano gli assassini di Andrea: con
Filippa de Cabanni, i suoi figli ed altri, fu preso anche Carlo d’Artus (una
lettera a lui indirizzata da Carlo di Durazzo servirà poi al re d’Ungheria,
Ladislao, per chiamare responsabile anche quest’ultimo); nel 1347 tutti furono
giustiziati.
Così,
Andreina era rimasta vedova e possiamo immaginarcela in lacrime nel suo sicuro
castello di Monteodorisio, preoccupata forse di risolvere il problema del
proprio futuro. Il destino degli Artus, rimasti conti di S. Agata, si concluse
durante il regno di Ladislao di Durazzo: l’ultimo di essi, accusato di
cospirazione, fu giudicato, pare, da Giovanni da Capestrano, che del re
Ladislao era amico e che aveva, forse, iniziato ad esercitare la magistratura a
Napoli.
Questi
diventò poi «uno excellentissimo et sancto predicatore… che faceva miracoli de
sanar amalati cechi sidrati resuscitar morti etc.». Qualcuno attribuisce la sua
conversione, avvenuta nel 1416, al rimorso di aver consentito alla barbara
esecuzione dell’ Artus alla presenza del figlio che ne sarebbe morto a sua
volta di crepacuore. Il castello di Monteodorisio era stato fondatò, da
Odorisio conte de’ Marsi alla fine del secolo XI ed era stato assediato
inutilmente dai Normanni.
Era poi
appartenuto ai conti di Loritello e poi al demanio regio, Alla metà del secolo
XIII se ne impadronì Corrado d’Antiochia, che nel 1268 sostenne Corradino e
quindi da Carlo d’Angiò fu privato di tutti i suoi feudi. Tra i seguaci
dell’Angiò si trovava anche il poeta italiano Sordello da Goito che il 5 marzo
1269 ricevette in feudo (Carlo lo dichiara in questa occasione «miles
familiaris et fidelis») cinque castelli abruzzesi, tra i quali Monteodorisio,
che era stato preso dopo notevole resistenza.
Il 30 agosto
del1o stesso anno questi feudi passarono a Bonifacio di Galibert (non si sa se
per la morte senza eredi del poeta, per vendita, o per altri motivi). Nel 1337
la contea fu affidata a Carlo d’Artus e dopo la sua morte, nel 1349 fu
assegnata a Lalle Camponeschi, viceré degli Abruzzi. Luigi di Taranto
(incoronato re nel 1352) in questi anni aveva dovuto affrontare gli eserciti di
due capitani di ventura, mossi contro di lui dai suoi rivali, i Durazzo, e dal
re d’Ungheria: Corrado Lupo e poi Corrado Lando. Dell’uno e dell’altro, non
sapendo liberarsi con le armi, si liberò col danaro: e pare che, dopo essere
stato sconfitto a Lanciano da Conado Lupo, egli abbia proprio trattato nel
castello di Monteodorisio i termini economici per renderlo inoffensivo. Nel
1391 la contea apparteneva a Cecco del Cozzo o del Borgo, primo marchese di
Pescara, dal quale passò alla figlia Giovannella che nel 1407 diede statuti al
paese. Se ne impadronì poi Giacomo Caldora, che restaurò il casteIlo e lo
trasmise al figlio Antonio. Alfonso d’Aragona successivamente riconobbe le
ragioni di Giovannella del Borgo e le restituì la contea, che passò alla nipote
Antonella d’Aquino. Questa divenne moglie di Innico I d’Avalos, spagnolo, che
era al servizio di re Alfonso d’Aragona. Il nipote, Alfonso d’Avalos, riunì la
contea di Monteodorisio al marchesato di Vasto e di Pescara. Nella seconda metà
del secolo XVI sembra che i d’Avalos abbiano ospitato nel castello Torquato
Tasso.
Al
marchese d’Avalos sono dedicati numerosi passaggi dell’Orlando furioso come
XV, 28, 2-4: "veggio un marchese, e veggio dopo loro / un giovene del
Vasto, che fan cara / parer la bella Italia ai Gigli d’oro", XXVI, 52:
"l’altro Alfonso del Vasto ai piedi ha scritto", e XXXIII, 47, 7-8:
"L’altro di sì benigno e lieto aspetto / il Vasto signoreggia, e Alfonso è
detto".
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