Quanti sono ancora i canti popolari abruzzesi inediti o ignorati! Spesso, per caso fortuito, ci si imbatte in qualche canzone, o fiaba o racconto, di singolare poeticità, conservati nella tradizione orale del popolo, specialmente nei paesi rurali del Molise e dell'Abruzzo montano: sono componimenti sgorgati dal cuore di anonimi poeti popolari, che rievocano fatti d'amore e di morte, stornelli e canti legati alla fatica quotidiana nei campi, agli avvenimenti più comuni della vita umana.
I canti d'amore, poi, hanno sempre
occupato un posto notevole nella letteratura popolare abruzzese, ed accanto a
strofe di amore selvaggio e triste si incontrano, sfogliando le raccolte dei
maggiori folkloristi, canzoni di particolare dolcezza in cui i sentimenti più
delicati e semplici appaiono mescolati a motivi di civetteria femminile, a
dispetti d'amore e a tutti quegli atteggiamenti e stati d'animo congiunti alle
vicende dei giovani innamorati.
Proprio per caso fortuito a Monteodorisio,
nel Vastese, ho avuto modo di ascoltare alcune strofette, purtroppo non
ricordate alla perfezione dalla anziana donna che ne informava, di un
bellissimo canto d'amore che non ho trovato in nessuna delle raccolte abruzzesi
consultate. In esso un giovane del paese tenta i suoi primi approcci amorosi
con una fanciulla a cui non ha ancora mandato « l'ambasciatore » per chiederla
in sposa; tra i due innamorati, anche se la passione è ardente, non c'è stato
alcun segno di « compromissione », come il regalo del fazzoletto della
ragazza, secondo un'antica usanza, o il bacio per la strada, secondo un
vecchio sistema di conquista femminile per vim. Invano il giovane, nel
canto, cerca di persuadere la fanciulla ad un incontro, suggerendole le scuse
più ovvie: questa non si mostra punto cedevole alle profferte d'amore del suo
spasimante, ma vuole proposte concrete, vuole insomma « l'ambasciatore», che
alla fine arriva nella persona di una commare che scioglie tutte le
incertezze di Mariuccia carciratella, con una richiesta ufficiale e
anche liberatrice (t'aricacce). Ed ecco il testo del canto d'amore di
Monteodorisio:
Ched'à 'ssa
ggiuvenétte che si lamente?
Vò lu
'mmasciatore ore e mumente.
Lu
'mmasciatore vò essere arialate
lu
fazzulette a chi ci l'ha mannate.
Carciratella
mé, carciratella,
dimore la
verità, ca t'aricacce.
Còma pòzze
fa' pe' darete nu vasce?
Pije la
palelle e va' pe' foche.
Si
t'addummanne màmmete: « sȋ ntrittinute »,
lu vicinate
n'ha tinute lu foche;
si
z'arcunosce lu vasce ca ti so' date,
dije ca è
state l'arie de lu foche.
Ucchie
accinnarille che sempr'accinne,
vû fa'
l'amore nchi me, picchè m'ci minne?
I' nin ci
manne, ca sȋ piccirille,
ancora li
cumpisce li quinicianne.
Quinice li
so' fatte e sedici pure,
pije lu
'mmasciatore e ci li manne.
Ucchie nire
che mi so’ ‘ntrate a lu core:
come la
subbre che trapane la sole,
trapane la
sole, trapane la sulette
cuscì
trapane l'ucchie de 'sta ggiuvinétte.
Mo se ne
vene la Natale santa,
s'ariverisce
tutte le cummare.
Jame,
cummara me', si vù mini,
la vigna mé
sta 'ncoppe a la muntagne:
ci sta du'
arbre di noce e di castagne,
tra marze e
aprile li vujje sicà
pe' fa' lu
telarucce a Mariucce:
la cassa
d'aure e li licce di seta
l'andruarella
di noce moscata;
noce
moscata e noce moscatelle
quest'è la
strade de le donne bbelle.
Come si vede, nei primi quattro versi a
rime baciate, il poeta, come rappresentante della tradizione popolare,
immagina una fanciulla che si lamenta perché vuole « l'ambasciatore » per
acconsentire all'amore di un giovane; ma l'ambasciatore, dice di rimando il
poeta, vuole che gli sia dato il fazzoletto da portare a chi l'ha mandato.
Ecco si fa avanti l'innamorato a chiedere un bacio all'amata. Seguono due
coppie di distici a botta e risposta e una ripresa. Con la quartina a rime
baciate (Ucchie nire, ecc.) si concludono i tentativi del giovane, che è sempre più preso da passione d'amore per
la fanciulla. Ma niente da fare, Mariuccia ci sta solo con l'impegno matrimoniale,
ed egli cede finalmente e, a garantire la serietà delle sue intenzioni invita
la « cummare », l'ambasciatrice, ad andare alla sua vigna sulla montagna dove,
tra marzo e aprile, segherà il noce e il castagno per costruire il telaio (lu
telarucce) per Mariucce.
A questo punto, però,
si pone il problema dell'ultima parte del canto che, indubbiamente, è
«contaminata» con la prima, ed è una variante del famoso strambotto sul
telaio. Il Toschi in un importante studio, pubblicando uno
strambotto raccolto a Ofena, in Abruzzo, dalla viva voce popolare, affronta di
nuovo la questione precedentemente esaminata da Severino Ferrari, dal D'Ancona
e poi dal Sapegno, « per vedere se riusciamo a definire con maggiore
approssimazione i rapporti che intercorrono fra il sonetto, lo strambotto quattrocentesco
e gli strambotti raccolti dalla viva voce dei volghi ». Il tema,
difatti, dell'innamorato che vuol fare un telaio all'amata, probabilmente come
dono di nozze, è assai antico e lo ritroviamo in un « sonetto caudato e in un
" rispetto ", trascritti in codici che risalgono a circa la metà del
Quattrocento ma che contengono composizioni le quali possono essere riportate
agli ultimi anni del sec. XIV o ai primi del sec. XV ». Il Toschi,
quindi, dopo aver riportato lo strambotto di Ofena, il cui tema è appunto il
proposito di un giovane di fare fu telare a la mia bella, lo analizza e
lo pone in relazione ad analoghi componimenti della Sicilia, Calabria, Lucania,
Puglia, Campania, Molise, Abruzzo (un canto alterato di Lanciano), Marche,
Umbria e Toscana, e dal confronto tra il sonetto quattrocentesco e gli
strambotti raccolti dalla viva voce popolare, e in particolare, lo strambotto
di Ofena e i riscontri con la versione di un analogo canto di Lanciano,
dimostra i possibili rapporti tra sonetto e strambotto e deduce che « anche il
sonetto, nonostante la sua preziosità, è entrato nella tradizione orale perdendo
alcuni dei tratti di maggiore artificio, ma rimanendo ben riconoscibile nelle
sue linee essenziali» .
Ebbene il canto di
Monteodorisio sembra appunto portare altra conferma alla tesi del rapporto tra
sonetto e strambotto; esso, tuttavia, pur riprendendo e « contaminando »
motivi che ricorrono in canti e strambotti di altre regioni, si presenta come
una creazione originale, oltre che per la struttura strofica perché ritrae al
vivo ambiente, costumi e spirito della gente del paese. Già nei primi quattro
versi il motivo della richiesta dell'amata è caratterizzato dall'intervento
dell'ambasciatore e dal dono del fazzoletto come pegno. Nel canto amebèo che
segue, (questo sì, tutto originale), fin al primo verso, col vocativo ripetuto appassionatamente Carciratella
me', carciratella, siamo portati nell'ambiente rusticano, dove la ragazza
vive chiusa in casa come in carcere. E l'espediente che l'innamorato le
suggerisce per un incontro e le scuse che le fornisce per rispondere agli
eventuali rimproveri della madre sono di una popolaresca ingegnosità e di una
espressività schiettamente poetica: se z'arcunosce lu vasce ca ti so' date /
dije ca è state l'arie de lu foche. Anche il motivo degli occhi « che
trapanano il cuore come la subébia trapana la suola », non è nuovo, ma assume
un tono di passione fatto più vivo dall'ostinazione dell'amata.
Ed ecco infine lo
strambotto del telaio che « contamina » il canto amebèo. Notiamo subito che il
motivo è introdotto in un'atmosfera di solennità sacra, il Natale, quando s'ariverisce
tutte le cummare (interessante nota di costume). Ed è alla comare che
l'innamorato promette, e nella circostanza la promessa assume quasi il valore
di un giuramento, che tra marzo e aprile segherà nella vigna a monte il noce e
il castagno per fare il telaio a Mariuccia; e anche qui c'è il tocco di colore
locale. Nella ripresa la strada che in altri strambotti è detta profumata, è
caratterizzata dalla presenza delle « donne belle », presenza che vi porta
una nota di gentilezza, il profumo dell'onestà.
Il canto, mi è stato riferito
dall'informatrice, era assai in voga a Monteodorisio fino a pochi anni fa, e
mi è sembrato uno fra i più belli dei tanti canti popolari abruzzesi, oltre che
per l'originalità del disegno strofico e la vivacità del dialogato, per la
spontaneità e la delicatezza dei sentimenti e per una certa civetteria
femminile, ispirato com'è ad una semplice e ingenua vicenda d'amore paesano.
EMILIANO
GIANCRISTOFARO
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