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lunedì 25 marzo 2024

IL CANTO DI MONTEODORISIO

 Quanti sono ancora i canti popolari abruzzesi inediti o ignorati! Spesso, per caso fortuito, ci si imbatte in qualche canzone, o fiaba o racconto, di singolare poeticità, conservati nella tradizione orale del popolo, specialmente nei paesi rurali del Molise e dell'Abruzzo montano: sono componimenti sgorgati dal cuore di anonimi poeti popolari, che rievocano fatti d'amore e di morte, stornelli e canti legati alla fatica quotidiana nei campi, agli avvenimenti più comuni della vita umana.

 I canti d'amore, poi, hanno sempre occupato un posto notevole nella letteratura popolare abruzzese, ed accanto a strofe di amore selvaggio e triste si incontrano, sfogliando le raccolte dei maggiori folkloristi, canzoni di particolare dolcezza in cui i sentimenti più delicati e semplici appaiono mescolati a motivi di civetteria femminile, a dispetti d'amore e a tutti quegli atteggiamenti e stati d'animo congiunti alle vicende dei giovani innamorati.

 Proprio per caso fortuito a Monteodorisio, nel Vastese, ho avuto modo di ascoltare alcune strofette, purtroppo non ricordate alla perfezione dalla anziana donna che ne informava, di un bellissimo canto d'amore che non ho trovato in nessuna delle raccolte abruzzesi consultate. In esso un giovane del paese tenta i suoi primi approcci amorosi con una fanciulla a cui non ha ancora mandato « l'ambasciatore » per chiederla in sposa; tra i due innamorati, anche se la passione è ardente, non c'è stato alcun segno di « compromissione », come il regalo del fazzoletto della ragazza, secondo un'antica usanza, o il bacio per la strada, secondo un vecchio sistema di conquista femminile per vim. Invano il giovane, nel canto, cerca di persuadere la fanciulla ad un incontro, suggerendole le scuse più ovvie: questa non si mostra punto cedevole alle profferte d'amore del suo spasimante, ma vuole proposte concrete, vuole insomma « l'ambasciatore», che alla fine arriva nella persona di una commare che scioglie tutte le incertezze di Mariuccia carciratella, con una richiesta ufficiale e anche liberatrice (t'aricacce). Ed ecco il testo del canto d'amore di Monteodorisio:

 

Ched'à 'ssa ggiuvenétte che si lamente?

Vò lu 'mmasciatore ore e mumente.

Lu 'mmasciatore vò essere arialate

lu fazzulette a chi ci l'ha mannate.

 

Carciratella mé, carciratella,

dimore la verità, ca t'aricacce.

Còma pòzze fa' pe' darete nu vasce?

Pije la palelle e va' pe' foche.

Si t'addummanne màmmete: « sȋ ntrittinute »,

lu vicinate n'ha tinute lu foche;

si z'arcunosce lu vasce ca ti so' date,

dije ca è state l'arie de lu foche.

Ucchie accinnarille che sempr'accinne,

vû fa' l'amore nchi me, picchè m'ci minne?

I' nin ci manne, ca sȋ piccirille,

ancora li cumpisce li quinicianne.

 

Quinice li so' fatte e sedici pure,

pije lu 'mmasciatore e ci li manne.

 

Ucchie nire che mi so’  ‘ntrate a lu core:

come la subbre che trapane la sole,

trapane la sole, trapane la sulette

cuscì trapane l'ucchie de 'sta ggiuvinétte.

Mo se ne vene la Natale santa,

s'ariverisce tutte le cummare.

Jame, cummara me', si vù mini,

la vigna mé sta 'ncoppe a la muntagne:

ci sta du' arbre di noce e di castagne,

tra marze e aprile li vujje sicà

pe' fa' lu telarucce a Mariucce:

la cassa d'aure e li licce di seta

l'andruarella di noce moscata;

noce moscata e noce moscatelle

quest'è la strade de le donne bbelle.

 Come si vede, nei primi quattro versi a rime baciate, il poeta, come rappresentante della tradizione popolare, immagina una fanciulla che si lamenta perché vuole « l'ambasciatore » per acconsentire all'amore di un giovane; ma l'ambasciatore, dice di rimando il poeta, vuole che gli sia dato il fazzoletto da portare a chi l'ha mandato. Ecco si fa avanti l'innamorato a chiedere un bacio all'amata. Seguono due coppie di distici a botta e risposta e una ripresa. Con la quartina a rime baciate (Ucchie nire, ecc.) si concludono i tentativi del giovane, che è sempre più preso da passione d'amore per la fanciulla. Ma niente da fare, Mariuccia ci sta solo con l'impegno matrimoniale, ed egli cede finalmente e, a garantire la serietà delle sue intenzioni invita la « cummare », l'ambasciatrice, ad andare alla sua vigna sulla montagna dove, tra marzo e aprile, segherà il noce e il castagno per costruire il telaio (lu telarucce) per Mariucce.

 A questo punto, però, si pone il problema dell'ultima parte del canto che, indubbiamente, è «contaminata» con la prima, ed è una variante del famoso strambotto sul telaio. Il Toschi in un importante studio, pubblicando uno strambotto raccolto a Ofena, in Abruzzo, dalla viva voce popolare, affronta di nuovo la questione precedentemente esaminata da Severino Ferrari, dal D'Ancona e poi dal Sapegno, « per vedere se riusciamo a definire con maggiore approssimazione i rapporti che intercorrono fra il sonetto, lo strambotto quattrocentesco e gli strambotti raccolti dalla viva voce dei volghi ». Il tema, difatti, dell'innamorato che vuol fare un telaio all'amata, probabilmente come dono di nozze, è assai antico e lo ritroviamo in un « sonetto caudato e in un " rispetto ", trascritti in codici che risalgono a circa la metà del Quattrocento ma che contengono composizioni le quali possono essere riportate agli ultimi anni del sec. XIV o ai primi del sec. XV ». Il Toschi, quindi, dopo aver riportato lo strambotto di Ofena, il cui tema è appunto il proposito di un giovane di fare fu telare a la mia bella, lo analizza e lo pone in relazione ad analoghi componimenti della Sicilia, Calabria, Lu­cania, Puglia, Campania, Molise, Abruzzo (un canto alterato di Lanciano), Marche, Umbria e Toscana, e dal confronto tra il sonetto quattrocentesco e gli strambotti raccolti dalla viva voce popolare, e in particolare, lo stram­botto di Ofena e i riscontri con la versione di un analogo canto di Lanciano, dimostra i possibili rapporti tra sonetto e strambotto e deduce che « anche il sonetto, nonostante la sua preziosità, è entrato nella tradizione orale per­dendo alcuni dei tratti di maggiore artificio, ma rimanendo ben riconosci­bile nelle sue linee essenziali» .

 Ebbene il canto di Monteodorisio sembra appunto portare altra confer­ma alla tesi del rapporto tra sonetto e strambotto; esso, tuttavia, pur ri­prendendo e « contaminando » motivi che ricorrono in canti e strambotti di altre regioni, si presenta come una creazione originale, oltre che per la struttura strofica perché ritrae al vivo ambiente, costumi e spirito della gente del paese. Già nei primi quattro versi il motivo della richiesta dell'amata è caratterizzato dall'intervento dell'ambasciatore e dal dono del fazzoletto come pegno. Nel canto amebèo che segue, (questo sì, tutto originale), fin al primo verso, col vocativo ripetuto appassionatamente Carciratella me', carciratella, siamo portati nell'ambiente rusticano, dove la ragazza vive chiusa in casa come in carcere. E l'espediente che l'innamorato le suggerisce per un incontro e le scuse che le fornisce per rispondere agli eventuali rimproveri della madre sono di una popolaresca ingegnosità e di una espressività schiettamente poetica: se z'arcunosce lu vasce ca ti so' date / dije ca è state l'arie de lu foche. Anche il motivo degli occhi « che trapanano il cuore come la subébia trapana la suola », non è nuovo, ma assume un tono di passione fatto più vivo dall'ostinazione dell'amata.

 Ed ecco infine lo strambotto del telaio che « contamina » il canto ame­bèo. Notiamo subito che il motivo è introdotto in un'atmosfera di solennità sacra, il Natale, quando s'ariverisce tutte le cummare (interessante nota di costume). Ed è alla comare che l'innamorato promette, e nella circostanza la promessa assume quasi il valore di un giuramento, che tra marzo e aprile segherà nella vigna a monte il noce e il castagno per fare il telaio a Mariuccia; e anche qui c'è il tocco di colore locale. Nella ripresa la strada che in altri strambotti è detta profumata, è caratterizzata dalla presenza delle « donne belle », presenza che vi porta una nota di gentilezza, il profumo dell'onestà.

 Il canto, mi è stato riferito dall'informatrice, era assai in voga a Mon­teodorisio fino a pochi anni fa, e mi è sembrato uno fra i più belli dei tanti canti popolari abruzzesi, oltre che per l'originalità del disegno strofico e la vivacità del dialogato, per la spontaneità e la delicatezza dei sentimenti e per una certa civetteria femminile, ispirato com'è ad una semplice e inge­nua vicenda d'amore paesano.

EMILIANO GIANCRISTOFARO

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