giovedì 25 aprile 2024

E' venuto a mancare Antonio Manzi

 


Alla moglie Giovina, ai figli Letizia, Carmine e Stefania ai generi Pierangelo e Domenico, alla nuora Maria Teresa ai diletti nipoti, al fratello Eduardo, alla sorella Rita, ai cognati, alle cognate, ai nipoti ed ai parenti tutti giungano i sensi del nostro più profondo cordoglio.

sabato 20 aprile 2024

L'acqua miracolosa

Il popolo abruzzese 20 dicembre 1886



Monteodorisio Dicembre 86

(F. Curci) Il fatto dell’acqua miracolosa di Monteodorisio val la pena di essere raccontato.

A circa 50 metri dal paese v’ha una chiesetta diruta, la quale doveva esser ricostruita non esistendo in quel comune che la sola parrocchia. Innalzata in onore della Madonna delle Grazie, la cadente chiesetta sorge a piè del paese in una posizione aggradevolissima, da poi che, mentre a dritta ed alle spalle è circondata dal caseggiato di Monteodorisio, a manca la campagna s’avvalla verdeggiante, coronata in fondo da colline diafane, che si sfumano in un orizzonte purissimo.

Per i bisogni della fabbrica che va facendosi fu necessario lo scavamento di un pozzo, il quale alla profondità di circa otto metri, dette fuori una cert’acqua verdognola, piuttosto melmosa dal sapore di latte.

Or si racconta, che, in un certo giorno, un villano, menando a pascolo alcuni maiali, attinse di quell’acqua e la porse alle assetate sue bestie, sacre a sant’Antonio, le quali ebbero a morirne non appena bevutane qualche goccia. Qualche giorno dopo varie pecore, per la medesima ragione, andarono al mondo di là. Era chiaro che la Madonna non permetteva ai quadrupedi di dissetarsi al pozzo scavato. L’avvenimento cominciò a fare il giro del paesetto e dei comuni circonvicini.

Più tardi un pover’uomo, ammalato agli occhi, ebbe la fede di lavarli con l’acqua prodigiosa, e guarì; quindi uno zoppo camminò, un muto parlò, un sordo udì…. Le grazie, tanto lungamente ed inutilmente impetrate, cominciarono a piovere dal cielo sempre per opera e virtù dell’acqua miracolosa, e con le grazie e le guarigioni, piovvero i donativi alla chiesetta. Fu una vera baraonda.

I cittadini di Monteodorisio avevano a loro disposizione il modo di sbarazzarsi dei medici e degli speziali. L’acqua della Madonna bastava a tutto e per tutti.

Le processioni cominciarono a seguirsi giornalmente: eran donne, uomini, vecchi, giovani, fanciulli che traevano dai lontani comuni salmodiando a squarcia gola, ed anche la cittadinanza di Monteodorisio, per un segno fatto da una certa donna, dovette indursi a fare la sua brava processione, tanto per calmare le ire della Vergine, disgustata del poco culto, che le rendevano quei fedeli, fra cui aveva avuto il ghiribizzo di far sorgere una fonte di benefizii.

E tutto questo nel secolo XIX dopo la rivoluzione francese!

Nel raccontare questi fatti noi non crediamo di far onta alcuna a quella popolazione agricola: desidereremmo solamente che le classi dirigenti senza pigliare a combattere rudemente di fronte la buona fede e la cieca superstizione di quelle masse, venisse con dimostrazioni pratiche a distruggere pian piano il dannoso fanatismo che le avvolge ed acceca.

E siam sicuri che tutto questo potrà ottenersi, pensando che in Monteodorisio la famiglia Suriani, De Cristofaro, Scardapane, Raimondi e tante e tante altre, formano per intelligenza e serietà di propositi, tale una forza da poter facilmente opporre una diga alla crescente superstizione della classe poco istruita. Senza dire che l’ottimo e simpatico giovane messo a capo del comune, il sig. Federico Scardapane, all’accortezza ed al buon volere accoppia intelligenza ed amore vivissimo pel vero progresso del paesetto da lui amministrato.

giovedì 18 aprile 2024

Avvenimento nel Simulacro di Maria Santissima delle Grazie in Monteodorisio - 1886

 L’anno 1886 il di 20 settembre alle ore 7 a.m.



Noi qui sottoscritti Arciprete e Sacerdoti di questo Comune di Monteodorisio ci siamo personalmente conferiti nella chiesuola suburbana di nostra giurisdizione, sotto il titolo di Maria Santissima delle Grazie, onde acclarare quanto di vero od immaginario fosse avvenuto la sera precedente, circa le 7 p.m. sulle macchie rosse che alcune persone devote han creduto osservare sulla mano dritta del Simulacro chiuso dentro nicchia con vetrina, di detta Vergine. Essendosi da noi tre e da altri forestieri e paesani compiute a vetrina chiusa le prime osservazioni per cui rifrazioni e riflessioni di raggi potean dar luogo ad ottiche illusioni, si è immediatamente proceduto ad altre indagini a vetrina aperta.

Si vedeano delle piccole macchie rosse nella prima falange dell’indice della mano dritta di esso Simulacro; ma essendosi strofinato un fazzoletto bianco su quei punti rossi questi son rimasti intatti, senza che il colorito si fosse trasfuso in detta pezzuola, segno evidente che i punti  rossi non partivano da tinta fresca applicato poi, previa bagnatura con molte gocce di acqua purissima, detto fazzoletto sugli stessi punti rossi, la tinta rossa si è trasfusa nella parte bagnata, offrendo così un colore sbiadito, segno che tinta fosse disciolta e la mano è rimasta tersissima.



Si fa pure osservare che essendosi reiterate volte di sera e di mattino nei seguenti giorni ripetute le stesse indagini, detta mano si è trovata sempre tersa.

Ciò mena alla naturale conseguenza, che le rosee tinte non più apparse in quei punti, né in altri di detta Immagine, nulla di soprannaturale possa arguirsi per continuazione di avvenimento.

A una premura si è pure distaccato il merletto che cingeva il polso della stessa mano, in parte macchiato, ma portandosi così il merletto come la pezzuola sucennata per osservarsi dal farmacista Signor Luigi de Cristofaro, ed essendosi pur ricordato, che una corona di confetti colorati erasi per molto tempo mantenuta sospesa appunto sulla indicata mano, si è dedotto che la tinta dei confetti disciolta all’azione del caldo e dell’umido, abbia prodotto quelle rosee macchie e null’altro.

Nondimeno si sono gelosamente conservati in Chiesa il merletto e il fazzoletto finché in tutti i decorsi giorni si sono ripetute le indagini sul Simulacro; ma nulla di nuovo si è potuto rimarcare ne nell’uno, né nell’altro, onde i menzionati oggetti, per qualunque ulteriore osservazione, si presenteranno all’Autorità Ecclesiastica.

Finalmente, in quanto alle prodigiose guarigioni attribuite da paesani e forestieri all’uso dell’acqua attinta da un pozzo, che per ordine del Municipio si è scavato di recente a comodo di quelli che intervengono alla fiera stabilita legalmente per la prima Domenica di settembre nelle adiacenze della Chiesuola, nulla di positivo possiamo acclarare, tranne le pubbliche voci, ed il concorso di devoti, che da vari giorni forma uno spettacolo veramente edificante.

Così redatto e chiuso Monteodorisio 27 settembre 1886

Cesare Canonico Raimondi

Nicola Sacerdote Fanghella

Vincenzo+ Arciprete Iarussi

Al Reverdissimo Monsignor Vicario Generale

D. Graziano Canonico Bonacci in

Vasto

Monteodorisio 27 settembre 1886

Oggetto: Avvenimento nel Simulacro di Maria Santissima delle Grazie in Monteodorisio

Reverendissimo Monsignor Vicario generale

Le fo tenere qui accluso il processo verbale firmato da me, e da due Sacerdoti Raimondi e Fanghella, dai quali ho creduto farmi assistere nelle indagini accurate compiute fin’oggi per acclarare quanto di vero od immaginario fosse avvenuto nel Simulacro di Maria Santissima delle Grazie nella sua chiesuola suburbana di mia giurisdizione, nonché sull’acqua dell’adiacente pozzo, cui si attribuiscono dalla pietà dei fedeli mirabili guarigioni. Esso verbale che fu aperto omnibus paesani e forestieri alle 7 a.m. del 20 corrente mese, è stato chiuso oggi dopo quotidiane osservazioni fatte mattina e sera, se vi fosse soprannaturali avvenimenti a gloria della Santissima Vergine, ed a beneficio dei Popoli.

Era ben inutile e stolto importunare i Superiori con monche relazioni, sena prima compiere qui il Parrocchiale dovere, anzi forse poidomani porterò tutto in persona.

La ossequio.

Il Parroco

Vincenzo Arciprete Iarussi


mercoledì 17 aprile 2024

Muore a soli 48 anni Roberta Cianci, stimato medico radiologo

 
Lutto nel mondo della sanità abruzzese, scomparsa a causa di una malattia che non le ha lasciato scampo la dottoressa Roberta Cianci, radiologa dell’ospedale Santissima Annunziata di Chieti, aveva 48 anni.


Toccante il ricordo di Maria Amato, primaria dell’unità operativa di Radiodiagnostica dell’ospedale San Pio da Pietrelcina di Vasto: “Alla famiglia di Roberta Cianci, ai suoi amici, all’Istituto di Radiologia della Università di Chieti le mie condoglianze», scrive la dottoressa Amato sul suo profilo Facebook. «Un percorso doloroso, una malattia aggressiva e crudele ha tolto a tutti noi la bellezza di una persona gentile, occhi e sorriso indimenticabili, una mente brillante, una radiologa meravigliosa. Roberta è stata per chi l’ha conosciuta un grande dono”.

Il funerale della professionista si terrà domani alle ore 15.30, nella chiesa di San Nicola vescovo, a San Salvo, sua città Natale. Numerosi, nelle ultime ore, i messaggi di cordoglio, moltissime persone oltre a familiari e concittadini, si stanno stringendo da tutto l’Abruzzo intorno alla madre Anna, al padre Vivaldo, al fratello Graziano e ai suoi cari.


martedì 16 aprile 2024

Violenza - giugno 1889



Sull'arresto di Domenico Scardapane per possesso di un emblema settario

 Nel giorno 30 del passato mese circa le ore 23 venne da me questo Sig. Giudice Regio ed in discorso mi disse aver ricevuto dal supplente di Monteodorisio in quel momento un verbale di denuncia fatta da Pasquale Sabellico di cui le accludo copia contro Domenico Scardapane di quel Comune per affari di carboneria.

Vasto 2 gennaio 1823

Non esitai un momento, inteso ciò, invitare questo Tenente di Gerdarmeria perché di unita alla forza che qui risedeva si fosse portato in Monteodorisio per arrestare lo Scardapane e fare contemporaneamente una visita domiciliare per vedere se vi erano ... insegne carboniche ed ogni altro oggetto. Malgrado le nevi e le pessime strade il Tenente si pose subito in cammino e la sera del 30 istesso verso le ore due della notte giunse a Monteodorisio ed arrestò lo Scardapane, il quale nel vedersi arrestato disse di conoscere la causa del suo arresto.

Lo stesso Sig. Tenente passò a la casa dello Scardapane e complici, mi ha risposto di nulla sapere e ch'era innocente.

A mio credere in forza dell'Art. 10 della legge del 28 settembre 1822 sia applicabile l'art. 17 di detta Legge e la competenza sia della Corte Militare.

In questa circostanza le fo rimarcare che l'esattezza e lo zelo dimostrato dal Sig. Tenente Marzano nell'eseguire l'incarico merita ogni lode ed io le prego di esternare al medesimo il suo compiacimento e far conoscere ai superiori la condotta lodevole del detto Sig. Tenente.

sabato 13 aprile 2024

A Monteodorisio rivive il Medioevo

MONTEODORISIO. Si intitola “Ma che bel castello” la mostra storico-archeologica che sarà inaugurata domenica alle 9,30 nel fortilizio e che si potrà visitare fino all’Epifania tutti i giorni dalle 17 alle 20 (ingresso gratuito). Sono oltre una cinquantina i reperti esposti, degli oltre 1500 rinvenuti durante le campagne di scavo condotte dal 2003.

I curatori hanno privilegiato il Medioevo.

E a partire da questo periodo, infatti, che Monteodorisio comincia a rivestire un ruolo di prestigio lungo la fascia costiera, mentre Histonium (Vasto) tramonta.

I lavori e l’allestimento museale sono stati presentati dal sindaco, Ernesto Sciascia, da Marco Rapino della cooperativa Parsifal che ha eseguito gli scavi, e dal direttore scientifico, Davide Aquilano.

La mostra, ideata e coordinata da Michele Massone, dell’associazione culturale vastese Lightship, è stata realizzata con un accordo di programma quadro tra Stato e Regione finanziato dal Cipe.

«Gli scavi hanno contribuito a far luce su un capitolo sconosciuto della storia di Monteodorisio. I reperti ci permetteranno di arricchire il museo», afferma Rapino.



«Tra l’ottavo e il dodicesimo secolo sulla sommità della collina esistevano delle strutture in legno, una torre di avvistamento e difesa ed un recinto», spiega Aquilano, «a distanza di un paio di secoli, la superficie disponibile per la fortezza si è ampliata e nel 15° secolo è stata dotata di torri con una cisterna per la raccolta dell’acqua piovana al centro».

Di particolare importanza sono i manufatti in pietra ollare rinvenuti.



Veniva lavorata sin dalla preistoria nell’area alpina.

La diffusione e la presenza a Monteodorisio si potrebbe spiegare con le rotte di distribuzione lungo l’Adriatico e da lì attraverso le valli dei fiumi Trigno e Biferno. La notevole quantità di vasellame trovato è una conferma del vivace sistema di scambi e traffici intorno al sito del castello», aggiunge Aquilano.

E tra il vasellame c’è anche un’anfora islamica.



«Siamo in attesa di esami di conferma sulla provenienza. L’area sarebbe quella della Mesopotamia del dodicesimo secolo. Se le ipotesi dovessero trovare conferma, sarebbe una ulteriore testimonianza della fiorente attività commerciale», conclude il direttore.

Simona Andreassi

giovedì 11 aprile 2024

PANFILO DI GIACOMO (Monteodorisio) ... IL FACCENDIERE

Reazioni borboniche, prontamente represse, si verificarono nel 1860 e 1861 in numerosi paesi del circondario di Vasto. Infatti, subito dopo il passaggio del Re Vittorio Emanuele, in molti comuni attorno a vasto scoppiano improvvisamente rivolte, tanto che il governatore De Caesaris deve inviare truppe a Monteodorisio, Gissi, Liscia, per ristabilirvi l'ordine.Quello che accadde nei giorni 30 settembre e 1° ottobre 1860 a Monteodorisio mentre le truppe borboniche erano ferme nelle pianure di Santa Maria Capuavetere servì a dimostrare che gli uomini cosiddetti " reazionari o della restaurazione" non erano adatti a mettere in atto una " sceneggiata " di sapore politico, bensì erano portati, per carattere e per convincimento, a mettere tutto a ferro e fuoco.

Alle 14 del pomeriggio entrò in paese una turba di facinorosi, un manipolo formato da personaggi reclutati negli Abruzzi fra più esagitati, ingordi e sanguinari.

Li comandava tale Panfilo di Giacomo, "miserabile faccendiere dell'infima plebe " - dice un testimone - che, su di un cavallo di razza, si presentava alla testa dei suoi uomini urlanti e quasi tutti ubriachi, mantenendo in pugno una bandiera bianca con lo stemma dei borboni e chiamando a se la folla con le grida di Viva Francesco II.

I paesani di Monteodorisio, nell'assistere a quella lugubre sfilata, pensarono ad una dimostrazione "politica" inscenata dai fanatici che gridavano in continuazione " Viva Francesco II ", ma ben presto si dovettero ricredere. I briganti, altri li chiamavano " reazionari", si diressero al posto di guardia, e quivi rialzò gli stemmi del Borbone, strapparono i regolamenti costituzionali, si appropriarono delle armi della cancelleria comunale; fece dire in chiesa l'Inno Ambrosiano e nominò un nuovo sindaco.

L'indomani, primo ottobre, i reazionari s'impadronirono della valigia postale, fermando altresì D. Giuseppe De Luca, guardia nazionale di Vasto, che, caduto infermo ad Atessa, veniva rinviato in patria. Poi si prepararono a respingere la pubblica forza che veniva per reprimerli.

Questa si mosse nella mattina del suddetto giorno da Dogliola, giunse nel territorio di Monteodorisio nelle ore pomeridiane, e impose, ma inutilmente, agli insorti una pacifica sottomissione.

Costoro - narra un altro testimone - " si schierarono come una siepe alla china del monte ( nel cui spianato giace il paese ) di ricontro alla strada che la forza pubblica doveva percorrere, e spararono alcuni colpi, ai quali venne risposto con una buona scarica, al rombo della quale tutta quella bordaglia spulezzò"; e così ebbe termine la commedia.

In tale scontro, rimasero uccisi tre uomini e due donne da parte degli insorti. Si eseguirono molti arresti, e fra gli arrestati vi furono anche parecchi innocenti. 

Il primo paese contro cui si usò la forza fu Monteodorisio ed a riguardo una relazione della Gran Corte Crimininale di Chieti così recita a: "Nei giorni trenta settembre e primo ottobre, in cui le armi borboniche erano profligate nei piani di Capua e Santa Maria, un tal Panfilo di Giacomo, miserabile faccendiere dell'infima plebe, suscitava un sommovimentoreazionale nel paesello di Monteodorisio. Ai due pomeridiane entrava nell'abitato alla testa di una turba di villici, raccolti nella campagna, scaraventando all'aria una bandiera bianca alla cui punta dondolavano le immagini borboniane, e chiamando a sè la fola con le grida Viva Francesco II. E tosto si diede ad instaurare il caduto governo di costui, Panfilo si diresse al posto di Guardia, e quivi rialzò gli stemmi del Borbone, abbigliando i ritratti di moccichini bianchi: fece a pezzi i decreti e regolameti costituzionali; s'impadronì delle poche armi lasciate dalle guardie di servizio; s'impossessò della cancelleria comunale, e ractosi in chiesa fè solennizzare con l'Inno Ambrosiano e le sacre cerimonie il felice ritorno di Re Francesco in Napoli. La sera le campane a distesa e i falò e le luminarie accrebbero il brio della festa.

 La notte la parte attiva di quei marmocchi insorti stettero in veglia a manipolare il riordinamento del vagheggiato governo. Fu invasa all'improvviso la casa del Sindaco dimesso, perché avesse esibito il Decreto con cui re Francesco avea ribassato a grana 6 14 il prezzo del sale fin da quando aveva scemato il prezzo del tabacco, e intanto si era ciò tenuto occulto per maligno fine. Il Perrozzi ebbe a sudar freddo per capacitarli che quel Decreto non era stato mai emanato e con tutta la febbre che lo incolse per la patita battisoffia, dovette seguire quei tristi nella casa comunale e quivi accettare le nuove funzioni di Sindaco, presente il Cancelliere, e dopo la rivista censoria de' principali cespiti della rendita. Fu ordinato ancora il disarmo de' proprietari civili; fu ingiunto a tutti di armarsi, e fu vietato ai naturali di uscire dal Comune, sì per impedire la che la notizia arrivasse al capoluogo, e sì perché tutti dovevano concorrere alla grad'opera del ripristinato governo.

A questo medesimo intento s'impadronirono nel 1 ottobre della valigia postale, e fermarono D. Giuseppe De Luca Guardia nazionale di Vasto, che caduto infermo in Atessa, era rimandato in patria.

E in mezzo a tanta ressa ed affaccendamento di cose, i detti ribelli non tralasciavano di armarsi fino ai denti di spiedi e di tutti gli'istrumenti rurali e maneschi, oltre ad una buona diecina di schioppi; risoluti ed ordinati a voler impedire l'ingresso della forza pubblica.

La quale infatti, istruita della inserruzzione, moveva da Dogliola la mattina del detto dì 1° ottobre, ed alle prime ore pomeridiane appariva nei tenimenti di Monteodorisio. Furono mandati dal Sottogovernatore due messaggi di concordia  e pacifica sottomissione.

Respinti, fu giocoforza spingersi in avanti. Gli insorti schierarono come una siepe alla china del monte (sul cui spianato giaceva il paese) di riscontro alla strada che la forza pubblica doveva percorrere. All'appressarsi di questa furono gittati dai ribelli alcuni colpi, e fu loro risposto con una buona scarica; al rombo della quale tutta quella bordaglia spulezzò; e così ebbe termine la commedia (sic).

In tale scontro restarono uccisi tre uomini, 2 femmine, da parte degli insorti. Entrata la forza pubblica nell'abitato procedè all'arresto di quanti individui trovò nelle strade e sugli usci delle loro case, e continuò a fare los tesso nei giorni susseguenti.

Ciò diede alla giustizia impaccio non lieve, nel raccolgiere la istruzione; perocchè si vide costretta non pure a liquidare i veri colpevoli, ma a chiarire ancora gli innocenti, ingiustamente tradotti in carcere. Così con tre successive deliberazione della Corte, fu renduto alla libertà un mezzo centinaio di detenuti, ed il numero de' giudicaili si è ridotto a 57, compresi i latitanti".

I primi fermenti della sommossa si erano manifestati a Monteodorisio fin dal venerdì precedente, giorno 28 settembre. Da parte di alcuni cittadini maggiormente responsabili si era cercato, con un certo successo, di tenere sotto controllo la situazione per cui il sabato 29 e la mattina della domenica 30 erano passati tranquilli.

La sommossa scoppiò nel primo pomeriggio del 30 e ad essa parteciparono circa cinque-seicento persone.

Vista la situazione compromesa ormai in modo irrimediabile, il giorno 30 il supplente Comunale Giuseppe Suriani dava notizia della sollevzione al Giudice regio di Vasto, chiedendo aiuti.

Per lo stesso motivo il sergente Raffaele Scardpane si recava personalmente a Vasto dal capitano Beniamino Majo che, in assenza del Ciccarone, comandava la Guardia Nazionale. Sprovvisto di uomini, a causa della contemporanea duplice spedizione delle Guardie al seguito del Ciccarone e del Sottoindente Sigismondi, il Majo inviava lo Scardapane da quest'ultimo, a Dogliola.

All'avvicinarsi della Guardia Nazionale, che forte di circa 250 uomini al comando del Sigismondi avanzava dalla strada di Cupello, alcuni cittadini di Monteodorisio cercarono di persuadere i rivoltosi a dileguarsi, ma i capi di questi affermarono che erano pronti a battersi senza mai arrendersi a meno che la forza pubblica disponesse le armi ed inneggisse a Francesco II.

Disponendosi ad affrontare la Gardia Nazionale i rivoltosi trascinarono i galantuomini fuori delle loro case e li misero innanzi alle loro file. Nello scontro rimasero uccisi Francesco di Giacomo fu Antonio di anni 36, MArcellino COlameo di Carmine di anni 28, Paolo Pietropaolo e due donne: Anna Di Giacomo di Michele di anni 35 e Filoena Turco di Antonio di anni 25, tutti contadini.

I feriti fra i rivoltosi furono sette o otto mentre della Guardia solo tre.

I capi della rivolta Panfilo di Giacomo, il figlio Marcellino, Marcellino Pietropaolo, il figlio Antonio e Raffaele Colameo si davano alla campagna. I due Di Giacomo con il Colameo passavano invece a Gissi che era in rivolta e quindi a Guilmi ove animarono gli abitanti alla rivolta. La Guardia Nazionale del Distretto riuscì a catturarli, insieme con gli altri latitanti, solo dopo diverse settimane di appostamenti ed agguati.

Dei 57 imputati rimanevano incriminati solo 22 che però, in data 31 ottobre 1861 con sentenza della Gran Corte Criminale di Chieti, venivano tutti scagionati dal reato di attentato e cospirazione per distruggere e cambiare il Governo e di rivolta perché mancava l'elemeto di prova sia del progetto criminoso sia del concerto dei mezzi tendenti alla esecuzione  d'un tal reato.

Venivano però dichiarati colpevoli di voci e di fatti pubblici atti a spargere il malcontento e lo sprezzo contro il Governo. Reato che venne però assolto in seguito alla Sovrana indulgenza del 17 febbraio 1861 per cui dei 22 incriminati furono condannati solo 7, con imputazione di resistenza alla forza pubblica.

La pena inflitta a tutti e sette fu di tre anni di reclusione per ciascuno ed il pagamneto delle spese di processo.


Luigi Smargiassi, Il vastese tra la crisi finale della monarchia borbonica e gli inizi delo Stato unitario - 2005

martedì 9 aprile 2024

Guerriglia e brigantaggio - Monteodorisio 1860

Reazioni borboniche, prontamente represse, si verificarono nel 1860 e 1861 in numerosi paesi del circondario di Vasto. Infatti, subito dopo il passaggio del Re Vittorio Emanuele, in molti comuni attorno a vasto scoppiano improvvisamente rivolte, tanto che il governatore De Caesaris deve inviare truppe a Monteodorisio, Gissi, Liscia, per ristabilirvi l'ordine.
Quello che accadde nei giorni 30 settembre e 1° ottobre 1860 a Monteodorisio mentre le truppe borboniche erano ferme nelle pianure di Santa Maria Capuavetere servì a dimostrare che gli uomini cosiddetti " reazionari o della restaurazione" non erano adatti a mettere in atto una " sceneggiata " di sapore politico, bensì erano portati, per carattere e per convincimento, a mettere tutto a ferro e fuoco.
Alle 14 del pomeriggio entrò in paese una turba di facinorosi, un manipolo formato da personaggi reclutati negli Abruzzi fra più esagitati, ingordi e sanguinari.
Li comandava tale Panfilo di Giacomo, "miserabile faccendiere dell'infima plebe " - dice un testimone - che, su di un cavallo di razza, si presentava alla testa dei suoi uomini urlanti e quasi tutti ubriachi, mantenendo in pugno una bandiera bianca con lo stemma dei borboni e chiamando a se la folla con le grida di Viva Francesco II.
I paesani di Monteodorisio, nell'assistere a quella lugubre sfilata, pensarono ad una dimostrazione "politica" inscenata dai fanatici che gridavano in continuazione " Viva Francesco II ", ma ben presto si dovettero ricredere. I briganti, altri li chiamavano " reazionari", si diressero al posto di guardia, e quivi rialzò gli stemmi del Borbone, strapparono i regolamenti costituzionali, si appropriarono delle armi della cancelleria comunale; fece dire in chiesa l'Inno Ambrosiano e nominò un nuovo sindaco..
I Monteodorisiani resistettero con fuoco di fucileria, sicchè fu forza rispondere, e di quei villani ne morirono ben 25 e molti ne rimasero feriti. A questo prezzo si potè ristabilire l'ordine. Prima di Monteodorisio, Dogliola aveva dato l'esempio, ma quivi non si ebbe spargimento di sangue. 
Gissi la imitò terza, ma con scellerraggini inaudite. Il 2 ottobre innalzarono la bandiera bianca, quando le Guardie erano di ritorno da Monteodorisio. 
Vittima ne fu D. Peppino Mariani, giovine di spiriti italianissimi. Fu preso, battuto a morte, seviziato e trascinato semivivo dal Giudice, il quale, richiesto che se ne dovesse fare, rispose alla plebaglia come Pilato, anzi peggio: "Fatene il piacer vostro".

Cospirazione diretta a cambiare la forma di governo, istigazione della popolazione a prendere le armi contro il re Vittorio Emanuele, resistenza ed attacco alla Guardia nazionale, nomina di un nuovo sinda­co, furto della valigia postale, fatti avvenuti tutti in Monteodorisio nei giorni 30 settembre e primo ot­tobre 1860, a carico di Panfilo di Giacomo ed altri 96 individui di quello stesso comune, appartenenti per lo più alla classe dei contadini; la Gran corte cri­minale, dopo aver con deliberazione interlocutoria or­dinata la scarcerazione di molti di essi e l' archivia­zione del procedimento a carico di altri, alcuni dei quali morti negli scontri a fuoco con le forze dell'or­dine, rinvia a giudizio Marcellino di Giacomo, Mar­cellino Viti, Angelo Ottaviano, Antonio di Giacomo, Amadio Lucarelli, Gaetano Colameo, Salvatore ed Antonio Mirolli, Fedele Bottari, Antonio Santilli, Ermenegildo Piscicelli, Marcellino Pietropaolo, Antonio Pietropaolo, Raffaele Colomeo, Vito d'Angiò, Francesco e Michelangelo d'Ercole, Cesare Galluppi e Pasquale Ottaviano e con successive deliberazione del 31 ottobre 1861 condanna Amadio Lucarelli, An­tonio di Giacomo, Antonio Pietropaolo, Nicola Mau­rizio di Pasquale e Raffaele Colameo alla pena di tre anni di reclusione ed ordina che tutti gli altri siano rimessi in libertà.


Panfilo di Giacomo; Marcellino di Giacomo; Marcellino Vito; Angelo di Carlo; Epimenide di Giacomo;Nicola Maurizio di Pasquale;Nicola Ottaviano; Antonio di Giacomo; Domenico Capraro; Amadio Lucarelli; Gaetano Colameo; Salvatore Mirolli; Antonio Mirolli; Giuseppe Argentieri; Vincenzo Bottari; Pier Luigi Colameo; Pompeo Stanisci; Antonio d'Ovidio; Matteo Petrucci; Michelangelo Molisani; Cesare Molisani; Teodoro Piccirilli; Fedele Bottari; Cesare Cinalli; Luigi Donatelli; Giuseppe Capraro; Antonio di Prospero; Antonio Santilli; Angelo Santilli; Cesario Santilli; Marcellino Capraro; Antonio Turco; Rosario Pomponio; Giuseppe Bellafame; Michelangelo di Propero; Gioacchino di Propero; Anastasia Scardapane; Giovanna Lizzi; Petronilla Turco; Camillo Mariotti; Marcellino Molisani; Francesco Tenaglia; Cesario di Propero; Ermenegildo Piscicelli;Nicola d'Onofrio; Marcellino Pietropaolo; Antonio Pietropaolo; Raffaele Colameo; Vito d'Angiò; Comincio Colameo; Michelangelo d'Ercole; Francesco d'Ercole; Cesario Galluppi; Antonio di Giacomo; Pasquale Ottaviano; Giovanni Santilli; Donatantonio Ottaviano; Saverio Falcone; Giuseppe Codagnone; Andrea Argentieri; Giuseppe di Foglio; Antonio Mucci; Nicola Codagnone; Nicola Maria Tenaglia; Cesare di Giacomo; Pietro Traccarella; Giuseppe Pucci; Rosario di Cristofaro; Matteo Galluppi; Giuseppe Zerra; Domenico Petrucci; Giustino Colameo; Marcellino Festa; Marcellino Masutra; Cesario Molisani; Francesco Scopino; Antonio Trovarella; Giuseppe Marchesani; Pietro Molisani; Salvatore Samiano; Salvatore Capraro; Marcellino di Vincenzo; Pasquale Scardapane; Matteo Mastrocecco; Bartolomeo Galluppi; Benedetto Galluppi;Carmine Colameo; Nicola Pietropaolo; Panfilo Cinalli; Domenica Maurizio; Giustina Sangiovanni; Matteo Timpone; Nicola Argentieri; Donato Maurizio; Leonardo d'Alfonso; Temistocle Bellano.

Organo della chiesa di san Giovanni Battista

 Organo anonimo costruito nel 1757 ed attribuibile ai D’Onofrio.

Lo strumento è ubicato nel transetto, a destra dell’altare maggiore, in una cantoria lignea con parapetto mistilineo, convesso al centro, con specchiature corniciate dipinte a finto marmo. Sotto questa cantoria, in origine, si trovava l’ingresso principale.

La cassa è lignea, addossata alla parete, con prospetto a tre campate divise da paraste con decorazioni floreali lignee dorate. Sono presenti tre festoni di legatura intagliati e dorati. Tra le campate e sul cornicione ondulato ricche decorazioni dorate riproducenti motivi vegetali.

Le canne di facciata sono 25, di stagno, distribuite in tre campate in altrettanti cuspidi (9+7+9), con il labbro superiore sagomato a mitria e sormontato da punto a sbalzo, le bocche allineate, il profilo piatto ed appartenenti al Principale dal Sib1. La canna maggiore (Sib1) è tinta di grigio.

La tastiera è di 45 tasti (Do1Do5 con prima ottava ‘scavezza’) con diatonici in bosso con frontalini intagliati a chiocciola e cromatici ricoperti con listello di ebano; questa copertura si conserva solo su quattro tasti.

La pedaliera è a leggio, di 8 tasti (Do1Sil con prima ottava ‘scavezza’) co­stantemente unita al manuale. Su tutti i tasti della pedaliera è stato aggiunto un listellino di legno per rialzare i tasti.

I registri sono posti a destra della tastiera, direttamente sulla cassa, azionati da tiranti con pomelli in ottone tornito. Assenti i cartellini.

[Principale 8’]                        [Voce umana 8’ S. dal Do3]

[Ottava]                                  [Flauto in XII]

[Decima quinta]

[Decima nona]

[Vigesima seconda]

[Vigesima sesta]

[Vigesima nona]

[Tiratutti]

II Tiratutti è a tirante con pomello in ottone tornito azionante le file del ripieno dalla Decima quinta. A destra della tastiera è presente una manetta di legno, sagomata, fissabile ad incastro, relativa a una Zampogna posta dietro il somiere maestro. A sinistra della tastiera, dietro una antina apribile, sono presenti due tiranti: il primo è collegato al contro ventilabro di sinistra - nel somiere maestro - che forniva aria ad una Uccelliera ora mancante; il secondo aziona l’apertura del canale dell’aria sul somiere di basseria.

Lo strumento è dotato di due mantici a cuneo, ciascuno a 4 pieghe, posti uno sopra l’altro in un vano al di sotto del piano della cantoria, azionabili manualmente a leva.

Le trasmissioni sono meccaniche secondo i consueti sistemi.





Il somiere maestro è in noce, a tiro, chiuso da 2 ante assicurate da 4 naselli; all’interno 45 ventilabri a cuneo con guide laterali e 2 contro ventilabri per la Zampogna e l’Uccelliera. Tutti i ventilabri hanno la chiusura semplice sul tirante con striscia di pelle. Ordine delle stecche dalla facciata. 1. Principale, 2. Voce umana, 3. Ottava, 4. Flauto in XII, 5. Decima quinta, 6. Decima nona, 7. Vigesima seconda, 8. Vigesima sesta, 9. Vigesima nona.

Somiere di basseria in noce, chiuso da un’anta assicurata da due naselli; all’interno 6 ventilabri a cuneo con guide laterali rivolti verso la parte inferiore della secreta.


Il crivello è di legno.


La bocca delle canne interne è posta sotto il crivello. Sul somiere di basseria 6 canne di legno tinte di rosso per le note Do1-La1 del Principale azionate tramite sei listelli di ferro collegati ai primi sei tasti della tastiera. Ai lati del somiere maestro ci sono 10 canne di legno tinte di rosso così distribuite: (a sinistra) Do1 Mi1 Sol1 del- l’Ottava e Do1 e Mi1 del Flauto in XII, (a destra) Re1 Fa1, La1 del- l’Ottava e Re1 e Fa1 del Flauto in XII. L’Uccelliera, ora perduta, era posta a sinistra della cassa su proprio supporto. La Zampogna è posta dietro il somiere maestro e prende aria direttamente da esso; ha il piede, il corpo e la noce di piombo, gruccia, canaletto e accordatore di ottone. Le canne metalliche sono tutte cilindriche.


Lo stato di conservazione è buono, manca solo l’Uccelliera e ci sono piccole perdite d’aria. Si conserva tutto il materiale fonico e meccanico e l’organo è abbastanza suonabile.

È presente la numerazione progressiva a inchiostro sulla tavola di riduzione della tastiera (+ - 45) seguita dalla data «1757» sempre a inchiostro; numerazione progressiva a inchiostro (+ - 45) anche sui ventilabri del somiere maestro e(+ - 6)su quello di basseria.


Nota critica

Anche in questo caso la presenza di elementi quali il modiglione, la fattura dei tiranti dei registri ma soprattutto la particolare disposizione dei ventilabri del somiere di basseria che sono rivolti verso la parte inferiore della secreta permettono di attribuire lo strumento ai D’Onofrio, forse specificamente a Francesco (II). Nella struttura dell’organo colpisce la particolare disposizione dei due mantici che sono ubicati uno sull’altro in un vano sotto l’organo; situazione che finora risulta esser unica almeno in Abruzzo.



venerdì 5 aprile 2024

Domenica 7 aprile ore 18 - Santa Messa e fiaccolata in ricordo di Maurizio Natale

 


Soppressione del Convento di san Bernardino di Monteodorisio

 




Carlo de Nardis Delegato per la soppressione del Convento di S. Berardino in Monteodorisio.

Al Sig.re Intendente della Provincia

Sig.re

In adempimento de’ vostri Comandi alli 20 del passato mese di giugno, mi conferii nel Monistero di Monteodorisio, e dopo di aver inventariato quanto era di pertinenza di quella comunità de’ padri Riformati, condussi nel Monistero di s. Onofrio il padre Giuseppe d’Altovilla, che n’era il Padre Guardiano con tutta la di lui soddisfazione e fu ricevuto ed accolto da religiosi ivi stanzianti con ogni rispetto ed urbanità.

Assegnai al detto monistero di s. Onofrio tutto quelli, che in vigore delle vostre disposizioni, gli apparteneva, e consegnai al primo eletto del Comune di Monteodorisio, che fece funzione del Sindaco assente, la Chiesa con tutti gli utensili appartenenti alle Funzioni Sacre, li pochissimi argenti ritrovati, il Monistero intero e Giardino.

Vi accludo perciò l’inventario ivi fatto cola massima esattezza in terza copia, ed il processo verbale formati in presenza dell’anzidetto primo eletto, vari galantuomini di Monteodorisio, ed altri del Vasto, acciò possiate farne l’uso conveniente.

Vi prevengo, che non debba farvi peso, se nella Sacrestia siansi trovate poche suppellettili ed argenti, mentre sento, che si trovano dati in pegno al sig. Carlo Narducci Procuratore di detto Convento per li crediti, che rappresenta contro del medesimo ed ho il piacere di contestarvi La mia più divota servitù e salutarvi colla massima stima e considerazione

Vasto li 23 giugno 1811

Carlo de Nardis

 

.

 




A 20 Giugno 1811 in S. Berardino, ed in presenza dell’infratto Regio Incaricato e Testimoni



Costituito personalmente avanti di Noi, e presso gli atti del disimpegno D. Pasquale Falcucci primo eletto della Comune di Monteodorisio, facendo funzioni del sig. Sindaco della medesima che trovasi assente, il quale primo eletto ha dichiarato e dichiara di aver ricevuto in consegna dal suddetto Regio Incaricato la Chiesa con tutti li utensili addetti alle Sacre Funzioni, argenti, Giardino e fabbriche del soppresso Monistero di s. Berardino, contenuti nell’inventario fatto oggi sopradetto giorno da me Regio Incaricato, e da esso primo eletto sotto a quale effetto si obbliga di conservare li anzidetti locali e robe contenute nel detto Inventario e tenerle a disposizione delle E.E. loro li Sig.ri Ministri dell’Interno e delle Finanze, e per essi del Sig.re Intendente della Provincia senza mancare per qualsivoglia motivo o pretesto sotto l’obbligo di se stesso, eredi e beni tutti, e così si è obbligato in forma.

Pasquale Falcucci à ricevuto e si obbliga come sopra

Io Mattia Mattioli sono testimonio presente

Io Notar Michelangelo del Greco sono testimonio presente.

Carlo de Nardis incaricato

Soppressione del

Convento di san Berardino di Monteodorisio.

Al signor Intendente della Provincia

 

 




Vasto lì 23 giugno 1811.



Descrizione ed inventario della Chiesa, Chiostro, Giardino

e Fabbrica del soppresso Monastero di san Bernardino di Monteodorisio.



Esiste detto Monastero in un colle vicino al bosco Rivullo demanio di Monteodorisio circa due miglia distante dall’abitato.

La chiesa è abbellita di stucco. Nel lato destro vi sono due altari uno con il S. Crocifisso e l’altro col quadro di tela con le effige di san Michele e statuetta di marmo di san Sebastiano. Nel sinistro vi sono altri due altari, uno cadente con nicchia, in cui vi è la statua di san Pasquale e l’altro con nicchia in cui vi è la statua della Concezione.

L’altare maggiore è di gesso lavorato con custodia di legno indorato e tre statue di creta, una di san Francesco, un’altra di san Bernardino e l’altra di sant’Antonio. Dietro di detto altare vi è il coro con sedici sedili di legno a muro con i loro parapetti e sedili avanti vecchi e rovinati. Al prospetto vi è un quadro situato a muro, rappresentante la Madonna degli Angeli con santi e sante della religione.

Vi è un lettorino di legname con il giratore di ferro e piede a stipo in dove vi sono due breviari grandi, usati e vecchi, un messale Romano di carta scritte vecchie, un diurno del breviario romano[1]: due genuflessori di legname con stipetti vacui e vecchi in uno vi è la chiave. Uno stipetto a muro per uso del vaso dell’olio santo, un campanello ad uso delle messe.

Nella suddetta chiesa vi è uno stipo a muro essendosi aperto si è trovato vacante.

Nei descritti altari vi sono rispettivamente distribuite cinque tovaglie vecchie, trenta candelieri di legno indorati ed ingessati, vent’otto giarre di legno indorate. Vent’otto fiori di erbe e di carta lavorata in vari colori. Nove carta gloria[2]. Una legia di legno. Quattro crocifissi di legno e tre scalini di legname.

Nei due lati vi sono due grandi confessionali di legno, su dei quali vi sono due nicchie con le statue di san Biase in legno e santa Lucia in creta: in un pilastro vi esiste un quadretto in tela e cornice di legno con l’ effigie del Santo Salvatore.

Nel muro dell’entrata vi esiste una Fonte grande di pietra per l’acqua santa con tre quadri vecchi senza cornici, rappresentanti san Bernardino, san Diego, la Concezione, san Nicola e sant’Antonio abbate.

Nei due pilastri innanzi l’altare maggiore vi sono due cornicioni di legno, in uno di essi un campanello per dar segno alla messa.

Nell’intero circuito della detta chiesa vi sono quattordici via Cruci di carta, cornicette di legno e crocette al di sopra di essi e tre ferri per sostenere lampade.

Avanti l’altare maggiore vi sono due genuflessori antichi di legname lavorati. Vi sono tre finestre grandi ed una ovale con vetrate intere e nel pavimento due sepolture con le loro lapidi di pietra corrispondenti.



Sacristia

La capienza di essa è quanto la chiesa, ma rovinata in modo che è stata abbandonata, vestendosi i sacerdoti per le sacre funzioni nel coro dell’altare maggiore. In essa vi è un armario[3] antico a sei stipetti dentro de’ quali vi sono solamente quattro candelieri di legname indorato. Vi sono due ginocchiatoi vecchi ed inservibili. Un lavamano grande di pietra. Tre tavolette per la santa Indulgenza. Due quadri vecchi che rappresentano santa Chiara e santa Margherita.

Nel campanile vi esiste una sola campana di peso di circa rotoli sessanta.



Argenti

Una pissida indorata, la tazza del calice, la patena di essa anche indorata ed un piccolo vasetto ad uso dell’olio santo.



Monastero

Un chiostro quadrato con vent’uno archi di fabbrica che dividono il convento dallo scoverto, dove vi sono due cisterne da acqua, cioè una coi pilastri, tetto e ruota di legno e l’altra con i soli pilastri a fabbrica.

Nel convento vi sono le seguenti porte dei locali: di una stanza che introduce al giardino, un’altra ad uso di cantina presso di cui segue un’altra ad uso di dispensa.

Una stanza per cucina, seguitando tre altre camere vacue al di cui prospetto altra camera addetta al fuoco comune con lavatoio fisso di pietra.

Un corridoio, che introduce al refettorio con i corrispondenti sedili fissi al muro: nel lato di detto refettorio vi è un altro corridoio per dove si cala alla cantina sotterranea.

Segue nello stesso lato una stalletta con la mangiatoia.

Nell’altro lato di detto chiostro vi è uno stanzone ad uso di ricovero di animali. Altra stanza ad uso di pagliaio.

Saliti nel dormitorio si trovano sedici camerette ed un finestrone. In un altro appartamento vi sono delle camerette tutte vacue e disabitate, una di esse è cadente. Dallo stesso dormitorio si salisce all’altro con covertura di tavole pittate a soffitto dove vi sono quattro camerette abitabili.



Giardino

Il descritto monistero è circondato da circa sei tomoli di terreno ad uso di orto secco, dove vi sono quattordici viti grandi di uve scelte. Ventisei piedi di fichi di diversa qualità, tre piedi di noci, nove piedi di olivi, sette olmi, un cipresso, due piedi di amarene, due piedi di mele, due di amandorle, quattro di granati, due di cotogni, due di crisomele e sette quercette.



San Berardino 20 giugno 1811

Pasquale Falcucci à ricevuto e si obbliga come sopra

Io Mattia Mattioli sono testimonio presente

Io Notar Michelangelo del Greco sono testimonio presente.

Carlo de Nardis incaricato










Ai 26 agosto 1811



Al Ciambellano di S. M. Intendente di Abruzzo Citeriore

Al Sindaco del comune di Monteodorisio



Signor Intendente

del calice rimasto, appartenente al soppresso convento di san Bernardino, a Carlo Narducci del Vasto si son fatte da me delle reiterate ricerche e premure. Queste sono fallaci, perché l’indiziato ha ributtato, malgrado le sue disposizioni date con lettera della data del 16 p.p. luglio. Lo partecipo alla S.V.Ill.ma acciò si benigni di dare gli ordini opportuni.

Con sentimento passo a completare la mia pratica e rispetto.



M. Scardapane



Ministero del Culto

Napoli 28 agosto 1813





Il Gran-Giudice

Ministro della Giustizia e del Culto



A Sig. Intendente di Chieti

Signore

Essendosi degnata a concedere alla Chiesa matrice del comune di Monteodorisio i pochi arredi sacri rimasti nel soppresso convento di s. Bernardino di detto comune consistenti in talune statue di creta, pochi quadri in tela di diversi santi, alcuni mobili di legno e pochi vecchi ornamenti di altare, ve lo partecipo per l’adempimento e vi rinnovo, Sig. Intendente, la mia distinta stima.



[1] La parte del breviario romano (lat. horae diurnae) che contiene le preghiere della liturgia delle ore da recitarsi durante il giorno.

[2] La cartagloria, spesso racchiusa in una cornice e disposta sull'altare, contenente alcuni testi invariabili della Messa stampati o manoscritti, era utilizzata come sussidio per la memoria del celebrante.

Il termine cartagloria è composto da carta e gloria, perché inizialmente conteneva il solo Gloria in excelsis Deo.

 

[3] Forma ant. per armadio

giovedì 4 aprile 2024

Ottavio Suriani - Bozzeti del villaggio - Lanciano, 1895 - Rocco Carabba, editore

 


In nitida ed elegante veste tipografica ha visto recentemente la luce questo volumetto del Suriani, che, dopo i primi e vari lavori di tanti colti e volenterosi corregionali - fra cui primeggiano il  d'Annunzio, il Ciampoli, il de Nino - viene ad illustrare un'altra parte, ed in forma sempre spigliata e vivace, della vita popolare abruzzese. I bozzetti in parola costituiscono invero altrettante storie di scene realmente accadute: loro pregio essenziale è  quindi la naturalezza, la semplicità, la spontaneità. Leggendoli, la tradizione locale, nel cozzo delle passioni e delle credenze che affannano il nostro popolo, torna perciò a colorire viemmeglio tutto  quell'avvicendarsi di luoghi, di fatti e di sentimenti che nella dipintura giusta e civettuola di tanti angoli di paesaggio, o bene si ricordano a chi li conosce, o si fanno intravedere come un lontano quadro di Salvator Rosa da chi non ha visitato l'Abruzzo che con la immaginazione o sulla carta geografica.

Chiamate pure audace, se volete, l' A. di  bozzetti  a colore regionale, dite pure arditi taluni tentativi; ma voi troverete certo nel libro dell' amico Suriani  il  palpito della vita delle nostre contrade anche tra le così dette complicazioni di psicologia, naturalismo, simbolismo, ecc. Invano vi cercherete la scienza  di  Balzac, la nota verista di Zola, la dolcezza di  Saint-Pierre; avrete invece una impressione tutta nuova, tutta propria, senza lamentare reminiscenze de' bozzettisti e de' novellieri, che pure han fatto da tempo scuola in   Italia: del de Amicis, p. e., questa lettura non vi ricorderebbe che  la verosomiglianza nelle descrizioni ed anche un pochino la spontaneità dialogica e narrativa. Ecco perché i Bozzetti del villaggio  possono dirsi, a mio credere, originali: l'imitazione è suicida - ha detto Emerson - ed il Suriani non ha imitato, egli  à ritratto con fedeltà ed efficacia; ed è cosi che nello splendido orizzonte de' nostri monti e de' nostri piani ha girato lo sguardo, ha osservato, ha colto le impressioni più salienti, ha studiato i caratteri più comuni....

Per noi abruzzesi questi bozzetti rappresentano tanti quadretti di generi: che importa se, lungi da noi, i colori ne sembrano  troppo carichi o troppo sbiaditi? Eppoi,  essi sono scritti per noi, e se le rustiche figure che popolano i nostri paesaggi non si adattano all'ambiente di altre regioni, che colpa ce n'ha l'autore? I bozzetti sono del villaggio, ed il villaggio non è che una pittoresca terricciuola del sano e ridente Abruzzo! D'altronde, quale rimprovero si è mai mosso al Verga per la sua Cavalleria rusticana? Forse che questa non ebbe e non ha più lettori oltre il Faro? Forse che le commedie del Gallina, per non dir d'altri, non oltrepassano il Veneto e le Novelle brianzuole non si leggono tuttora generalmente come le Novelle Siciliane?

- Giorni addietro, per le vie d'una popolosa città d'Italia, girava un giovane e robusto contadino sardo vestito del costume del suo paese; vi era chi ne rideva, e che perciò? Forse che il contadino sardo doveva gettare alle ortiche i propri abiti, per prenderne altri alla foggia del continente?...

I bozzetti del Suriani, dunque, tutto sommato, piacciono ed attraggono, ed il critico che non li trova perfetti convenga almeno che sono una promessa, un bella promessa.

 

lunedì 1 aprile 2024

Serena scampagnata in località S. Berardino



È di norma nella nostra parrocchia la scampagnata del Lunedì dopo Pasqua in località S. Berardino, distante qualche chilometro dal centro; località ove oggi sorge solo una cappella dedicata a quel santo, la quale costituisce l’unico resto di un chiostro francescano che là sorgeva.

Vi parteciparono come di consueto le nostre associazioni e altri parrocchiani dopo aver ascoltato la S. Messa nella Chiesa parrocchiale. La partecizione alla rituale pasquetta in quella località è ora favorita dalla nuova comoda strada che là conduce. Si auspica l’interessamento delle autorità cittadine al fine di un restauro della cappella di S. Berardino così che in quella occasione vi si possa celebrare la S. Messa come è nel desiderio della popolazione.


 








giovedì 28 marzo 2024

Torquato Tasso a Monteodorisio?

 

Torquato Tasso


Chissà se nel suo castello, eretto sul colle di Monteodorisio, nel retroterra di Vasto, abitò mai la bella ed energica fiorentina, Andreina Acciaiuoli. A lei, divenuta nel frattempo contessa d’Altavilla, il Boccaccio dedicò il “De claris mulieribus”, paragonandola per le sue virtù agli “uomini grandi”. Era sorella di Nicolò Acciaiuoli, il fiorentino che aveva ottenuto la fiducia della vedova Caterina di Taranto (e forse, dicono, ne era divenuto l’amante) ed esercitava abilità ed astuzia a favore del figlio di lei, Luigi di Taranto, Andreina si era inserita nella nobiltà napoletana sposando Carlo d’Artus che re Roberto doveva stimare particolarmente: nel 1337 lo aveva fatto gran camerlengo e gli aveva dato i feudi di Sant’Agata e di Monteodorisio; poi lo aveva nominato tra i suoi esecutori testamentari. Morto il re (1343) si erano sca-tenate le questioni per la successione al trono.

Quando, nel 1345, Andrea d’Ungheria, marito di Giovanna, fu ucciso, i sospetti caddero sui partigiani del principe di Taranto, che aveva subito approfittato della vedovanza della regina, per mettersele a fianco (anche se potrà ufficialmente sposarla solo nel 1348). Ma i suoi nemici, che a loro volta aspiravano ad impadronirsi della regina e del trono, si assunsero il compito di giustizieri, e dopo aver suscitato tumulti popolari in Napoli si fecero consegnare dalla regina, il 6 marzo 1346, quelli che ritenevano gli assassini di Andrea: con Filippa de Cabanni, i suoi figli ed altri, fu preso anche Carlo d’Artus (una lettera a lui indirizzata da Carlo di Durazzo servirà poi al re d’Ungheria, Ladislao, per chiamare responsabile anche quest’ultimo); nel 1347 tutti furono giustiziati.

Così, Andreina era rimasta vedova e possiamo immaginarcela in lacrime nel suo sicuro castello di Monteodorisio, preoccupata forse di risolvere il problema del proprio futuro. Il destino degli Artus, rimasti conti di S. Agata, si concluse durante il regno di Ladislao di Durazzo: l’ultimo di essi, accusato di cospirazione, fu giudicato, pare, da Giovanni da Capestrano, che del re Ladislao era amico e che aveva, forse, iniziato ad esercitare la magistratura a Napoli.

Questi diventò poi «uno excellentissimo et sancto predicatore… che faceva miracoli de sanar amalati cechi sidrati resuscitar morti etc.». Qualcuno attribuisce la sua conversione, avvenuta nel 1416, al rimorso di aver consentito alla barbara esecuzione dell’ Artus alla presenza del figlio che ne sarebbe morto a sua volta di crepacuore. Il castello di Monteodorisio era stato fondatò, da Odorisio conte de’ Marsi alla fine del secolo XI ed era stato assediato inutilmente dai Normanni.

Era poi appartenuto ai conti di Loritello e poi al demanio regio, Alla metà del secolo XIII se ne impadronì Corrado d’Antiochia, che nel 1268 sostenne Corradino e quindi da Carlo d’Angiò fu privato di tutti i suoi feudi. Tra i seguaci dell’Angiò si trovava anche il poeta italiano Sordello da Goito che il 5 marzo 1269 ricevette in feudo (Carlo lo dichiara in questa occasione «miles familiaris et fidelis») cinque castelli abruzzesi, tra i quali Monteodorisio, che era stato preso dopo notevole resistenza.

Il 30 agosto del1o stesso anno questi feudi passarono a Bonifacio di Galibert (non si sa se per la morte senza eredi del poeta, per vendita, o per altri motivi). Nel 1337 la contea fu affidata a Carlo d’Artus e dopo la sua morte, nel 1349 fu assegnata a Lalle Camponeschi, viceré degli Abruzzi. Luigi di Taranto (incoronato re nel 1352) in questi anni aveva dovuto affrontare gli eserciti di due capitani di ventura, mossi contro di lui dai suoi rivali, i Durazzo, e dal re d’Ungheria: Corrado Lupo e poi Corrado Lando. Dell’uno e dell’altro, non sapendo liberarsi con le armi, si liberò col danaro: e pare che, dopo essere stato sconfitto a Lanciano da Conado Lupo, egli abbia proprio trattato nel castello di Monteodorisio i termini economici per renderlo inoffensivo. Nel 1391 la contea apparteneva a Cecco del Cozzo o del Borgo, primo marchese di Pescara, dal quale passò alla figlia Giovannella che nel 1407 diede statuti al paese. Se ne impadronì poi Giacomo Caldora, che restaurò il casteIlo e lo trasmise al figlio Antonio. Alfonso d’Aragona successivamente riconobbe le ragioni di Giovannella del Borgo e le restituì la contea, che passò alla nipote Antonella d’Aquino. Questa divenne moglie di Innico I d’Avalos, spagnolo, che era al servizio di re Alfonso d’Aragona. Il nipote, Alfonso d’Avalos, riunì la contea di Monteodorisio al marchesato di Vasto e di Pescara. Nella seconda metà del secolo XVI sembra che i d’Avalos abbiano ospitato nel castello Torquato Tasso.

Al marchese d’Avalos sono dedicati numerosi passaggi dell’Orlando furioso come XV, 28, 2-4: "veggio un marchese, e veggio dopo loro / un giovene del Vasto, che fan cara / parer la bella Italia ai Gigli d’oro", XXVI, 52: "l’altro Alfonso del Vasto ai piedi ha scritto", e XXXIII, 47, 7-8: "L’altro di sì benigno e lieto aspetto / il Vasto signoreggia, e Alfonso è detto".