giovedì 30 aprile 2020

Il Santo e i pellegrini: il virus non spegnerà la devozione nicolaiana


di ANTONIO DI FAZIO
Il 20 aprile (del 1087) è il giorno in cui le sacre ossa di San Nicola partirono sulle caravelle dei marinai baresi da Myra dirette a Bari; in quella fausta ricorrenza. ogni anno i pellegrini di San Nicola che giungono a piedi a Bari cominciano la preparazione spirituale e logistica per il pellegrinaggio. il santo viaggio di sette giorni, ponendo il bastone (bordone) dietro l'uscio di casa, mettendo in evidenza l'effige del Santo e facendo proponimenti; alcuni capigruppo preparano i bordoni per i novizi della compagnia. Già il 6 dicembre dell'anno precedente, in occasione della loro venuta a Bari (con mezzi motorizzati) per omaggiare il loro Santo, hanno colto l'occasione di prenotare i luoghi del pernottamento nelle chiese, nei conventi da utilizzare per il pellegrinaggio del maggio successivo.

Purtroppo quest'anno hanno visto avvicinarsi la data del 1° maggio con sempre più rammarico e delusione poiché le decisioni governative e regionali per il contenimento del Covid-19 ha fatto progressivamente perdere ogni speranza di poter partire; peraltro sono stati annullati anche i festeggiamenti che nella città di Bari si organizzano 1'8 e 9 maggio per la festa della traslazione delle ossa di  san Nicola.

La pandemia ha fatto ciò che in tanti anni o secoli non era mai accaduto, la chiusura delle chiese, la chiusura delle scuole e tante altre cose; anche il pellegrinaggio dei devoti a Bari non ha mai subito chiusure totali, si è registrato qualche rallentamento solo in alcun i anni du­rante la Seconda guerra mondiale.

Questa pandemia vede approssimarsi ricorrenze importanti della nostra vita sociale, comunitaria e religiosa, le vede mestamente scorrere, superare e allontanare nel tempo registrando la delusione. il disappunto, l’impotenza, ma anche la speranza nel futuro. Sono ri­correnze e manifestazioni che la tradizione. la consuetudine, l'amore, il marketing e il consumismo da sempre hanno scandito con il fluire delle nostre vite; per la prima volta non le abbiamo potute festeggiare coralmente.Tra queste manifestazioni come non citare la settimana Santa, la Pasqua con il rito della Pasquetta. il 25 aprile, il 1 maggio e. per il popolo pugliese, e barese in particolare, l'approssimarsi della festa che ricorda la traslazione delle ossa di San Nicola da Myra a Bari, avvenuta il 9 maggio del 1087 ad opera di marinai baresi. Da quel giorno e senza alcuna interruzione, ogni anno si festeggia l'avvenimento con una Sagra che prevede riti civili e religiosi.

Della Sagra ci mancheranno tante cose: il Corteo Storico, il sorteggio del peschereccio che avrebbe ospitato la statua di San Nicola per la processione a mare, la questua del Comitato tra i cit­tadini per concorrere al sostentamento della festa, le luminarie sempre più ardite e tecnologiche, i fuochi d'artificio spettacolari, le bancarelle sul lungomare. la vendita delle nocelle tanto ricercate dai pellegrini, la marea di gente nelle piazze e le strade della festa. So­prattutto. non ci sarà la processione della statua del Santo per le vie della città con la sua carica benedicente e propiziatoria. il suono della banda, rimbarco dell'effigie sul peschereccio con il frenetico andirivieni delle numerose barchette che portano i fedeli a rendere omaggio al Santo, le centinaia di compagnie di pellegrini che vengono da lontano e che animano la processione.

Per il Corteo Storico, con cui si rievoca l'arrivo delle sacre reliquie, ci sono proposte per rimandarlo al 6 dicembre, data in cui si fa memoria della morte di San Nicola. Per la festa religiosa probabilmente. ci sarà una diretta TV delle funzioni importanti nella Basilica e tra queste, auspicabilmente, il prelievo della santa Manna dalla tomba del Santo.

Solo evocare questi momenti della Sa­gra che non potremo rivivere provoca una scarica di emozioni e una grande nostalgia assale sia i fedeli che i cittadini perché il Santo è tra gli elementi costituenti il senso di appartenenza alla città di Bari.

Come per tante attività e ricorrenze, grande dolore dal numeroso popolo dei fedeli e dei pellegrini di San Nicola che è profondamente deluso e rammaricato per l'impossibilità di onorare il voto fatto al Santo. Tra questi lo sono particolarmente i pellegrini a piedi delle compagnie di Vasto, di San Salvo, di Gissi, di Monteodorisio e di Fragneto Monforte; essi fanno già progetti per poter venire comunque a Bari ad omaggiare e pregare sulla tomba del Santo, appena le autorità lo consentiranno. Come sempre, essi hanno tante cose da chiedere a San Nicola, ma ciò che più preme è di saldare il debito di un voto fatto perché un nuovo patto, nuove richieste di grazie hanno ancora da por­tare direttamente al loro Santo.

di ANTONIO DI FAZIO'






lunedì 13 aprile 2020

La carestia del 1817


Morto di fame e di freddo

Solamente i vecchi, all'inizio del 1816, ricordavano la carestia del 1763-1764 nel comprensorio di Vasto, mentre vecchi e giovani rammentavano i pochi vuoti avutisi durante il 1803 a causa della scarsa disponibilità di cibo, allorché cominciò a diffondersi tra la popolazione la consapevolezza che le passate dolorose esperienze si sarebbero potute ripetere. mediatamente precedenti non erano mancati motivi di allarme e di preoccupazione: la stagione agricola 1814-1815, infatti, non soltanto a livello europeo, si era conclusa con un raccolto cerealicolo sensibilmente inferiore alla media, tanto da rendere necessaria l'adozione di alcune misure legislative. Nel Regno delle due Sicilie, già dal mese di giugno 1815, il re Ferdinando IV con il regio decreto 26 luglio 1815, a distanza di appena un mese, vietò l'estrazione per due mesi dell'olio. Il 9 novembre 1815 con un altro decreto il medesimo sovrano prorogò il divieto di esportare qualsiasi tipo di granaglie, biade, legumi e paste lavorate fino a tutto giugno 1816. Senonché, a partire dai primi mesi del 1816, funeste condizioni atmosferiche pregiudicarono il futuro raccolto, preludendo ad una terribile carestia. Durante la primavera del 1816, infatti, nelle tre province dell'Abruzzo si verificarono fenomeni che, pur manifestandosi altrove, raggiunsero per intensità e per durata nel comprensorio vastese i livelli più alti. In primo luogo si trattò di un freddo eccezionale, che si protrasse fino a giugno 1816 e che non solo bloccò ogni produzione agricola, ma danneggiò le stesse piante, soprattutto ulivi e viti. Inoltre, periodiche grandinate devastarono il territorio riducendo in gran miseria quasi tutto il contado. Infine, impetuosi e costanti venti completarono l'opera nel desolato settore agricolo. Si ebbe una raccolta molta scarsa per quantità e qualità di prodotti, si dovette ridurre il patrimonio zootecnico e si constatò una lievitazione eccezionale dei prezzi delle merci. 
Le conseguenze, infatti, dell'irregolare svolgimento stagionale, furono di natura duplice: da un lato la mancanza quasi totale di biade, di paglia, di ghiande e addirittura delle erbe spontanee provocò una vera e propria falcidia di pecore, capre e maiali; dall'altro, le rigide temperature e le frequenti grandinate determinarono un raccolto scarsissimo di grano tenero, di orzo, di ceci, di lenticchie, di fagioli come pure di mosto e di olio. Pertanto, a partire dal mese di febbraio 1816, il re Ferdinando IV continuò a promulgare decreti: il 14 febbraio 1816, infatti, con Regio Decreto prorogò fino a tutto aprile 1816 l'esenzione dal dazio ed il premio di carlini due per ogni tomolo di grano immesso nel Regno delle due Sicilie. 


L'ulteriore peggioramento della situazione, a mano a mano che le scorte cerealicole andavano progressivamente riducendosi in tutto il Regno, impose l'adozione di un importante provvedimento: la creazione in Napoli di una Commissione Annonaria, alla quale attribuire vasti poteri circa l'approvvigionamento della capitale e dell'intero Regno delle due Sicilie la circolazione interna di tutti i generi cerealicoli e la loro importazione dall'estero. Se la situazione generale nell'intero regno era preoccupante, anche a Monteodorisio era sicuramente grave. Infatti lo scarsissimo raccolto di grano aveva fatto lievitare i prezzi. Se poi si pensa agli inevitabili tentativi di accaparramento e di speculazione, risulta chiaro che i più colpiti non erano i pochi benestanti che in un modo o in un altro, erano riusciti a mettere da parte già negli anni precedenti quantità più o meno cospicue di grano, che gelosamente conservavano, bensì gli abitanti comuni del paese e della campagna, i quali, abituati già in condizioni di normalità a vivere alla giornata, vedevano diventare la loro situazione estremamente precaria in tempi di penuria. Infatti mentre i prezzi salivano e nel paese il Consiglio decurionale si mostrava incapace, nella maggior parte dei casi, a fronteggiare la situazione, quest'ultima diventava allarmante sotto l'aspetto demografico. 


Se, a Monteodorisio, il 1815 si era concluso con 44 morti e il 1816 con 43 morti il 1817 fu un anno terribile. Tra il primo gennaio ed il 31 dicembre morirono ben 119 persone. Il raccolto del giugno 1817 ebbe indubbiamente positivi riflessi sulla situazione generale, ma essi non interessarono tutte le famiglie. In alcune, infatti dove nei mesi precedenti erano venuti a mancare i membri più validi e tenaci, le difficoltà perdurarono ancora a lungo. A volte, anzi, peggiorarono. 

Perché il Regno si dishabita e mancando gli huomini o per patimento il quale è tanto che non può esprimersi, in Abruzzo ho veduto io andar le donne et li fanciulli a pascersi alla campagna a branchi come fanno le pecore, et poi tornare a casa con un sacco d’herba senz’oglio et spesso anche senza sale e senza pane.

Ben più gravi e durature furono le conseguenze di un altro fenomeno, che si verificò in quel periodo: la svendita, da parte di tanti assegnatari, delle quote di immobili ricevute negli anni precedenti. In tal modo, molte persone vennero a perdere la privilegiata condizione di piccoli proprietari, mentre poche famiglie facoltose, in grado di disporre di somme di denaro anche modeste, trassero i maggiori vantaggi, entrando in possesso delle quote di quanti, con un piede nella tomba, avevano nella svendita dei loro beni l'unica possibilità di sopravvivere.

giovedì 9 aprile 2020