sabato 26 febbraio 2011

Monteodorisio - 150° anniversario dell'Unità d'Italia

È mio intendimento di rivolgere a te lo sguardo e la mente, o Monteodorisio, paese ripieno di uomini civili e concordi; a te, che avanzi moltissimi nella gentile ospitalità e patriottico amore; a te finalmente, che avvezzi il tuo popolo a costituirsi ingegnoso, morale, libero e forte. Accogli dunque, o terra felice, queste poche parole che escono dal labbro di un uomo nazionale, sincero e paterno. Dopo la più bella e la più splendida festa celebrata in Vasto ad onore del Generale Cialdini, che dava l’ultima ora di regno a Francesco Borbone, successe immediatamente quella di Monteodorisio anco a lode ed encomio dell’invitto trionfator di Gaeta. Al primo concerto musicale eseguito dalla Banda filarmonica di Gissi, si dava principio alla clamorosa festa, che richiamò l’attenzione di non pochi vastesi, che vennero a bella posta ad onorarla. Poscia seguiva uno sparo, che cominciando alle ore 22 d’Italia, cessava senza interruzione alcuna verso le ore quattro della notte; ma quel che più sorprendeva e rallegrava l’animo di ognuno era la graziosa attitudine delle signorine, di cui alcune sventolanti sulle finestre e sui balconi bandiere tricolorate, ed altre con pistole e fucili, facendo anch’esse vivo fuoco di gioia. Queste veramente son donne italiane. Allo spuntar dell’alba si annunciava di nuovo la festa col suono delle campane, della banda musicale, dello sparo ricominciato con maggior vigore e con le grida di evviva Re Vittorio, viva l’Eroe Nizzardo e viva Cialdini. A pien meriggio, Giuseppe Checchia, parroco di San Salvo, proferiva un eloquente discorso in onore del nostro Re, dimostrando, la libertà non può reggere senza cristianità e che siffatti due pregi si ravvisano fuori dubbio in persona del Re Galantuomo. Verso parte della plebe percorrevano le vie del paese cantando ad alta voce e con gioia immensa l’inno Garibaldino. E finalmente sul far della sera il lodevole Sindaco di quel paese Idulterico d’Alfonso apriva nella gran sala del suo palazzo una società di ballo, di canto e di poesie improvvisate. Era dolce il canto della vivace giovinetta, filgia del sig. Camillo di Francesco ed armoniche, soavi erano le note dell’ottimo professore Sig. Masciotti. Durò la festa sino a notte avanzata si che n’ebbe ottimo successo.

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