lunedì 9 ottobre 2023

Convento dei Padri Conventuali di san Francesco

 



Convento di san Francesco d'Assisi. Chiesa con torre campanaria, "squadrata mole laterizia ancora perfettamente restaurabile", demolita senza alcuna giustificazione nel 1964.

 

Il convento dei Frati Minori Conventuali di Monteodorisio, fondato nel 1341[1], apparteneva, come quello di San Francesco di Vasto, alla Provincia di Sant'Angelo[2], la quale comprendeva l'Abruzzo a sud dei fiume Sangro, il Molise e la Puglia con il Gargano e la Capitanata.

L' insediamento di Monteodorisio conferma la tipica scelta insediativa dei francescani verso gli agglomerati urbani più consistenti. Infatti, questo centro, "[ ...] che tanta parte ebbe nei fasti di questa regione”[3], era, a quei tempi, un importante contado che controllava molti altri Comuni. Monteodorisio risultava una delle prepositure più dotate del Vastese, tant'è vero che le sue decime arrivavano ad un valore di due once nel 1308 e le sue chiese erano pari a dieci nel 1324-1325[4].

La demolizione nel 1964 di questo antico cenobio, per costruirvi, sullo stesso sito, l'edificio comunale, suscitò l'indignazione di molti storici. Lorenzo Bartolini Salimbeni così scrive: "Particolarmente grave è la perdita della chiesa [di San Francesco] di Monteodorisio, della quale fino a pochi decenni fa si conservava l'involucro esterno, squadrata mole laterizia, ancora perfettamente restaurabile [ ... ]".[5]

Certamente, non si può che rimanere attoniti di fronte al triste epilogo che ha portato alla distruzione di questo insigne monumento e, in questa sede, si è preferito far parlare le eloquenti note dell'Antologia francescana.

La chiesa di Monteodorisio, della quale ci sono state tramandate le dimensioni della facciata e delle partiture architettoniche in pietra scolpita, oltre che della pianta, della navata e del coro[6], [ La chiesa era a navata unica, coperta a tetto, con quadrato voltato a crociera cui si accedeva attraverso un arco sestiacuto; misurava m. 8.30 x 24.70 ed altezza, all'imposta delle capriate, di m. 9.30 ca., mantenendo quindi nell'aula il canonico rapporto 1 : 3 fra larghezza e lunghezza] rappresentava la tipica chiesa-fienile dell'Ordine mendicante, dove erano applicate con scrupolo le disposizioni del Capitolo Generale di Narbona del 1260. La navata era ad aula unica, con tetto a capriata, senza transetto, conclusa da un coro con volta a crociera costolonata.

La facciata, sopravvissuta come l'interno alle trasformazioni barocche, aveva la forma a "capanna" con due spioventi: fatto assai strano in una regione, quella abruzzese-molisana, dove a prevalere era invece, il coronamento orizzontale[7]. Nella facciata erano collocati il portale ogivale ed il rosone con timpano poggiante su colonnine sorrette da mensole zoomorfe, riconducibili a quegli artefici della Scuola di Lanciano (sec. XIV) di cui si hanno testimonianze, inoltre che nella città frentana, a Larino, Agnone e Chieti[8].

Oltre alla chiesa, è stata abbattuta la torre campanaria, che si presentava come una robusta costruzione con un apparecchio murario costituito da ricorsi di conci in laterizio e pietra squadrata.

Agli inizi dei Novecento, all'interno della chiesa era ancora possibile vedere, nonostante l'abbandono e l'esposizione alle intemperie, un grande affresco raffigurante San Cristoforo, protettore dei viandanti e dei pellegrini[9], a testimonianza dell'intenso passaggio di "viaggiatori" in cammino lungo le vie di questo centro posto a guardia del fiume Sinello, a ridosso dei tratturi Lanciano-Cupello e L'Aquila-Foggia[10]. Oltre all'affresco, si potevano notare: altri dipinti murali[11], una cappella dedicata al Santissimo Rosario[12] ed un'altra a Sant'Antonio da Padova[13], degli altari egregiamente intagliati in legno dorato[14] ed una colonna di granito egizio che ricorda la grandezza del tempio[15].

Attualmente si conservano, in un deposito comunale, alcune parti dell'antico portale e del rosone, mentre alcune opere d'arte sono sparse tra la chiesa parrocchiale ed il santuario della Madonna delle Grazie.

Il convento, con il chiostro, la cisterna e la porta urbica della città, detta di San Francesco, furono demoliti nell'Ottocento[16].

L'edificio dei Frati Minori Conventuali soppresso nella metà del 1600, conseguentemente all'emanazione della bolla di Papa Innocenzo X, conosce dunque un destino analogo a quello dei conventi di Sant'Elia a Pianisi, Palena e Francavilla al Mare. Similmente a quanto si auspica per questi conventi, anche per quanto riguarda l'insediamento di Monteodorisio si spera in un intervento di recupero archeologico ed architettonico, teso a valorizzare le vestigia dell'importante fabbrica francescana.


 

 

Dentro l'abitato vi era il convento dei Padri Minori Conventuali. Il medesimo era situato in ottima posizione. Si mirano tuttavia i ruderi e le fondamenta del convento e del chiostro, ove esiste tutt'ora la cisterna disseccata. La chiesa ad una nave ben lunga ed a proporzione più alta che larga dimostra la qualità e grandezza del convento, che un dì doveva essere rispettabile. I finestroni a forma alquanto gotica, ma non totale, dimostra la struttura sia il secolo XV al XI.




Interno della chiesa. Abside con volta a crociera costolonata, con arco trionfale a sesto acuto che risente dell'influenza della scuola architettonica cistercense a cui fa riferimento l'architettura francescana dei primi secoli dell'Ordine

 Anche la porta grande della chiesa e ben'intesa con pietre lavorate a fogliami ed incisioni ad intagli rilevati, una con il gran finestrone a rosa. Questa è adornata di colonnette sorgenti dalla periferia d'un piccolo cerchio centrale. Esse sono dieci contornanti questo cerchio, ed ognuna sostenuta nel capitello le basi dei due semicerchi, che fra loro intersecandosi formano un vago intreccio. L'apice di detti semicerchi s'uniscono a toccare l'orlo interno del cornicione circolare tutto maestrevolmente ben intagliato a fogliami e festoni.

Questo vago finestrone e contornato da due altre colonnette laterali sostenute entrambe da due leoncini foggiati su d'un piedistallo. Dal capitello di queste colonne indi sorge come una linea di pietra anche lavorata a fogliami che vanno poi a unirsi al vertice del gran cerchio esterno, ma non toccandolo e nel punto della tangente di tali due linee vi è un capitello di pietra anche lavorata a festoni che sembra voglia sostenere le medesime. Le fabbriche ben sode e gli ornamenti dimostrano il buon gusto e la pietà dei religiosi e del popolo che concorrere vi dovettero.




Portale ogivale in pietra scolpita, opera della scuola di Lanciano del secolo XIV

Questo convento riconosce la sua abolizione ( e da qualche terremoto per cui crollato, venne abbandonato dai religiosi e dalla Bolla di Clemente X che soppresse i Conventini non colleggiati, che forse è più probabile per la designazione, poiché passò ad essere quasi un beneficio semplice di Vicaria Economa Curata coadiutrice della Parrocchiale matrice.



Torre campanaria che si presentava come una robusta costruzione con un apparecchio murario costituito da ricorsi di conci in laterizio e pietra squadrata.

Nella chiesa di San Francesco dei Conventuali vi è eretta la congregazione sotto il titolo di San Rocco e Sant'Antonio ed è roboata di Regio Dispenso fino dai tempi del Re Carlo III. I confratelli ed altri fedeli con le elemosine vi eressero il Campanile circa la fine del caduto secolo. L'antico era sito nel lato opposto verso il giardino contiguo alle mura della Chiesa di prospetto ad oriente.

 


 




[1] La notizia è riportata nel Provinciale Ordis Fratrum Minorun redatto da fra Paolino da Venezia e citato da Doroteo Forte in Movimento francescano nel Molise, Campobasso, Biblioteca. San Giovanni dei Gelsi – Tipolitografia Lampo, 1975, p. 24.

[2] Cfr, Egidio Ricotti, La provincia francescana abruzzese di san Bernardino dei Frati Minori Conventuali, Roma, Misscellanea francescana editrice, 1937, p. 185,

[3] Nicola Colonna, Rassegna archeologica. La Chiesa di s. Francesco d’Assisi in Monteodorisio, in «La rivista abruzzese di scienze, lettere ed arti di Teramo», fascicolo V, maggio 1895, anno X, Teramo, Tipografia del Corriere Abruzzese, 1895, p. 235.

[4] Cfr. Luigi Pellegrini, Insediamenti francescani nell’Italia del Duecento, Roma, Ed. Laurentianum, 1984, p. 258.

[5] Lorenzo Bartolini Salimbeni, Architettura francescana in Abruzzo dal XIII al XVIII secolo, Roma, Edigrafica, 1993, p. 90.

[6] Cfr. Ignazio Carlo Gravini, Storia dell’architettura in Abruzzo, vol. II, Milano-Roma, Bestetti e Tumminelli, s.d. [ma 1927-1927], ristampa: Pescara, Costantini Editore, 1980, p. 397; Ciro Robotti, Monteodorisio. Ambiente, immagini, documenti, Manduria, Capone Editore, 1990, p.51, nota 17.

[7] Lorenzo Bartolini Salimbeni, op. cit., :”[…] A Monteodorisio, forse l’unico vero esempio di tale soluzione”.

[8] Ciro Robotti, op. cit,, pp.49-53.

[9] Raffigurazioni come questa, molto frequenti in passato nei luoghi di transito, ora sono diventate rare e, a titolo di esempio, citiamo il dipinto murale raffigurante “s. Cristoforo” di Andrea De Litio (firmato e datato 1473), collocato all’esterno della Chiesa di Santa Maria Maggiore a Guardiagrele, quelli più antichi (secc. XII-XIII) della chiesa di san Pellegrino a Bominaco e di Santa Maria delle Grotte a Rocchetta al Volturno, quello della chiesa di santa Maria a Visso  del sec. XV, collocato all’interno come a Monteodorisio e per finire quello in avanzato stato di degrado nella facciata della chiesa oggi di sant’Antonio da Padova a Teramo. Cfr anche I.C. Gravini, op. cit., p. 397; C. Robotti op. cit., p.51.

[10] Cfr. Natalino Paone, La transumanza. Immagini di una civiltà, Isernia, Cosmo Iannone, 1987, p. 49; Michele Massone (a cura di), Piano Territoriale Provinciale degli insediamenti Francescani, Provincia di Chieti, Assessorato all’Urbanistica e Pianificazione Territoriale – Lightship, Chieti 1999, Carta tematica realizzata nell’ambito dell’Itinerario francescano in Abruzzo e Molise.

[11] Cfr. N. Colonna, op. cit., pp. 235,236; Enrico Abate, Guida dell’Abruzzo, Roma, a cura del Club Alpino Italiano – Sezione di Roma, 1903, p. 363; C. Robotti, op. cit., p.51 nota 18.

[12] Cfr. Serafino Razzi, Viaggi in Abruzzo (inedito del sec. XVI), a cura di Benedetto Carderi, L’Aquila, L.U. Japadre Editore, 1968, p. 177.

[13] Cfr. C. Robotti, op. cit., p.51 nota 16.

[14] Cfr. N. Colonna, op. cit., pp. 235,236; C. Robotti, op. cit., p.51 nota 18.

[15] Cfr. N. Colonna, op. cit., p. 236.

[16] Cfr. C. Robotti, op. cit., p.50.

 

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