Che la festa di Sant'Antonio abate, che cade il 17 gennaio, sia una circostanza importante soprattutto nel mondo contadino è ormai un dato acquisito, come pure la sua persistenza nella tradizione popolare abruzzese; si tratta dell'inizio nel mondo popolare del ciclo di Carnevale. Quale santo antistregonico e burlone, sant'Antonio abate è ancora molto festeggiato con canti di questue e residui di sacre rappresentazioni il cui tema centrale è il conflitto tra il demonio tentatore e l'eremita. Fino a pochi anni fa v'era quasi dappertutto una vera e propria rappresentazione scenica. La vigilia della festa, a tarda ora, faceva il giro del paese, una comitiva, di cui il componente principale raffigurava il Santo anacoreta, con la mantellina, il cappuccio, una fluente barba di stoppa, il bordone e il campanello. Non mancavano poi il diavolo, gli eremiti e anche cinque sei musicanti che accompagnavano il canto del santo, il quale terminava sempre il suo dire con la richiesta di denaro, vino, dolci, polli, formaggio, uova e salsicce: O salsicce o salsicciotto Vino crudo o vino cotto, Sia pur l'osso del prosciutto Sant'Antonio accetta tutto E qualche volta era assai pretenzioso: Ci darete, per assaggio Cento libbre di formaggio E, per grande devozione, Di salsicce un milione. E specialmente erano desiderate le salsicce, sia perché "di stagione", sia perché esse si fanno con carne di maiale, l'animale caro a sant'Antonio e quindi si mangiavano ... per devozione. La rappresentazione scenica si riferisce certamente alle tentazioni subite dal santo, e difatti vi si fa comparire il diavolo. La stessa richiesta di salami, formaggio e vino e dolci, fatta sempre da un santo anacoreta, che condusse una vita tanto austera, non deve sembrare strana, perché egli fu tentato nel deserto anche con quelle leccornie. Un'altra tradizione ormai scomparsa era quella del maiale pubblico di sant'Antonio: un maiale, a cui dopo la benedizione del prete veniva messo un campanellino come segno di riconoscimento, veniva lasciato libero di circolare libero durante tutto l'anno per il paese perché diventava del santo, cioè della collettività, e tutti dovevano alimentarlo fino al 17 gennaio dell'anno successivo, quando, ingrassato, veniva sorteggiato in una riffa, il cui ricavato serviva a coprire le spese della festa, mentre un altro maialetto prendeva il suo posto in un analoga cerimonia di consacrazione.
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