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lunedì 14 dicembre 2015

POMPEO SURIANI (1904-1979), PRESIDENTE DELLA PROVINCIA E POETA

Ricordo di un gentiluomo d'altri tempi. La sua umanità e spiritualità emergono dal volume "Foglie Gialle".




Pompeo Suriani


Pompeo Suriani molti lo ricordano come un politico saggio, accorto, un amministratore solerte e zelante, legato alle innumerevoli opere pubbliche realizzate nei centri della Provincia di Chieti, di cui, dal dopoguerra fino alla morte, avvenuta nel 1979, fu apprezzato Presidente.
Eppure, nel profondo dell'anima di Don Pompeo divampava un innato fervore poetico. Quello che lo accompagnava in tutte le sue manifestazioni ed i rapporti intrattenuti per via del suo mandato politico-amministrativo.
Ma era, forse, la quiete del borgo natio, certo anche una spiccata preparazione professionale, la tenera dolcezza del focolare domestico, a suscitare in Pompeo Suriani ispirazioni delicate tutte velate da una profonda umanità, peraltro attinta ad una vivida predisposizione a considerare il mondo esteriore, come specchio autentico del Creatore.
E Monteodorisio, terra di Pompeo Suriani, è il ricorrente filo che lega tutta la sua vena poetica, che lo conduce a Punta Penna di Vasto, emotivamente legato, in opere e in spirito, a questo sensibile poeta, convinto assertore di una austerità, imperiosa forse, che trova ancestrale risonanza nei tempi trascorsi carichi di civiltà e di storia millenaria.

«Quande Mundrisce cummanneva a tutte
lipaìse 'ecche 'ntorne a la vallate...


Ecco, dunque, partorite dalla fervida fantasia dell'uomo-poeta quel volume «Foglie gialle», versi abruzzesi presentati dal prof. Ettore Paratore e illustrati con disegni a punta di penna di china di Gianni Consalvi, nella collana «I cantori» diretta da Donatella D'Orazio per i tipi di Solfanelli /Arte (1977).
Vi è nella musa di Pompeo Suriani una religiosità profonda, un rispetto per gli umili, un accorato senso di emotività nella narrazione di aspetti inediti del paese natio, di persone che hanno fatto parte del quotidiano, che sono poi gli elementi ispirativi di Pompeo Suriani, proprio perché tratti con la palpitante umanità che li pervade.


«Càntene li cicale a lu ciardine, / vole sfreccianne quacche renelone, / corre
appresse a nu Grille na galline; / dentre a nu nide, sotte a nu balcone, / tre cuccitelle
nire sta 'ffacciate / aspettanne ch'arrive la 'mbeccate».


La poesia della natura in Pompeo Suriani assume apici sublimi quando canta, al cospetto del mare, il mistero del Creato, quel paradiso terrestre che il poeta scrutava dalla sua casa su di un poggio a Punta Penna di Vasto, quando il crepuscolo incendiava il cielo dopo il tramonto.

« Tra li scuje la sere le sirene / dicevene parole appassiunate; / da la Lebbe spunte la luna piene / e 'lluminé lu mare e la vallate, / mentre nu rusignole a lu vallone / cantave a piena voce na canzone».

E trascorre così il giorno, quello stesso che Pompeo Suriani ferma magistralmente, pur se per qualche attimo prezioso, strappato idealmente all'inesorabilità del tempo fuggente, nella poesia«Lu rillogge».

«Lu rillogge che porte da tant'anne / 'nchi na catene appese, a lu taschine, / m'ha 'ccumpagnate senza ma 'n 'inganne /pe' la vije che m'ha date lu distine; / è nu regale che m'ha fatte sciore / e
m'ha segnate sempre juste l'ore. /S'è fatte vicchie, ma 'nze ma fermate...».


«Il destino è un cavallo bizzarro e senza briglie. Puro sangue e ronzino, è sempre la fortuna che lo guida» — scriveva Pompeo Suriani per introdurre la poesia «Lu cavalle» — nella considerazione che l'umanità spesso viene a trovarsi al bivio della vita e tutto è affidato al caso.
«Dipenne tutte da la 'spirazione / che la fortune ha date a lu cavalle... / ...quande nen ci si mette lu vicine... / ...a ffa cagna la sorte e lu destine...».

Pompeo Suriani ebbe la misura della vita, la coscienza di operare con spirito altruistico, nella convinzione di contribuire ad elevare il livello sociale delle popolazioni.
Sempre tenendo come orifiamma invitta, usbergo della sua nobiltà familiare, un costume morale di
esemplare comportamento.

Nella poesia «Lu vestite», scriveva: «La vita è come un abito: veste bene quando si è giovani. Viene ridotto a uno straccio dal tempo, dall'usura e dalle avversità. Ma non bisogna dolersi degli strappi, basta che non sia infangato».

«La vita nostre è come nu vestite / ca ti sta bbone quande ti vint'anne: / nove,
fresche, stirate, ben pulite, / pinse eh 'è fatte nchi lu mejje panne! / E camini
felice allegramente /senza bbadà a le chiacchiere e ala ggente. / Ma, doppe,
lipinzire l'avvicchisce / la fatije ogni jurne le cunzume: / quande 'ncape lu
bianche t'apparisce / s'è fatte vicchie e rotte lu custume. / Tra li ruve li pjezze
sì lassate / e l'aneme e la carne ha sanguinate. / Nen è capace lu cape sartore
/ d'ripizzà nche ll'aghe stu vestite; / t'arimane nu stracce e lu dulore / a lu pette,
pe ' quante si patite. / Ma n 'a da piagne si ti s'è stracciate / abbaste ca di
fanghe nz'è mbrattate».


Insomma, tutto il contrario di chi — ma non ne ricordiamo il nome — volle rubargli la maggior parte di questi versi sublimi e «rappezzarne» un componimento che, peraltro, gli servì per conseguire un immeritato premio in uno squallido «certame» periferico. Saggezza antica ammoniva: «il vestito non fa il monaco».
Ed il vate, presago delle incognite che gli serbava la vita, perché è proprio vero che il poeta sa scrutare l'infinito, pensava ad un giorno al crepuscolo di una «Sera d'estate a Punta Penna», per ispirarsi ad un «commiato» che possiamo considerare il compendio di tutta la liricità di un uomo che è consapevole del suo ruolo, soprattutto della missione che era destinato a compiere.

Sopraggiunge, così, un attimo di meditazione, quella stessa che pervade gli uomini che hanno contato nella storia e nelle vicende umane che hanno contrassegnato un popolo.

«Penso al passato / alle rosee speranze d'un tempo, / alla gioventù trascorsa / senza avvertire la bellezza dell'ora, / ai mille episodi d'una vita / vissuta nell'inseguire / ideali meravigliosi e chimere
sfuggenti».


Non un rimpianto però, bensì fede sorretta dalla consapevolezza di aver scritto un capitolo della vicenda umana.

«Il cuore è stanco, / il sole più non riscalda, / il profumo dei fior più non m'inebria,, / i verdi prati della speranza / sono ingialliti; /...sento / che la giornata mia va declinando. / E s'avvicina
la Notte! / ...io sereno l'attendo / nella speranza che poi torni alla luce / lo spirito mio».


Vi è in questi ultimi versi tutta la cosciente visione di chi s'appressa alla sublimazione
dell'essere.
Ed è da questo senso dello scrutare nel profondo che emerge l'esistenza di un uomo Vate e Poeta vissuto per tramandare al domani non «Foglie gialle», come volle intitolare il suo libro di versi, ma qualcosa di vivo che non sia definito dal colore, dai suoi riverberi, ma sempre attuale.


Il giallo, nella simbologia cromatica è emblema di fedeltà ai valori umani, agli ideali, quelli per i quali Pompeo Suriani è vissuto ed è ricordato perché ha tracciato un solco indelebile nelle opere che accompagnano l'uomo lungo la sua vicissitudine terrena, ma, soprattutto, nella spiritualità che sottolinea l'umanità quando riesce ad esprimere cantori così appassionati e degni di serto imperituro.


Giuseppe Catania

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