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lunedì 16 maggio 2011

La drammatica carestia del 1764: una testimonianza diretta



AD FUTURAM POSTERUM MEMORIAM DE ANNO IRAE DEI ID EST EXTREMAE CARITATIS
Che vi siano state delle carestie su questa Terra, mel persuado dalla lettura delle istorie de' tempi trasandati; non però cosi orrende e micidiali come quelle del trascorso anno 1764, che si può chiamare l'anno dello sdegno di Dio.
Afflissero, e ben vero, con penurie i nostri Antenati altre stagioni, ma non cosi formidabilmente come si notava la stagione dell' anno suddetto '64, dappoichè primieramente, se si provarono dagli omini le caristie in una, o due, o tre Province e forse ancora in un Regno, o in più Regni, mercè tragongiato questo calice dello sdegno di Dio dall'Italia tutta; secondariamente se mancò un genere di comestibile nelle penurie de' tempi trasandati per gli omini, supplivasi dall'istessi a rifocillare il loro individuo con altri generi di viveri, locchè però non si può dire di detto anno in cui tutti i generi, che confanno al nutrimento della vita umana, mancavano, in guisa che il prezzo di ogni genere di vettovaglie, sopra il superlativo grado.
Posteri miei cari, in sol rimembrarmi oggi che mi pongo a scrivere questa tragedia di detto penuriosissimo ed afflittissimo anno, mi cadono le lagrime dagli occhi su questo libro
Narrerò adunque conforme dalla penna caderà e dalla mia nobilissima mente, abbacinata ancora dalla memoria si orribile di detto crudo e spietato anno 1764.
Per le continue piogge nella primavera sin la ricolta dentro l'anno 1763 che nocerono tanto a' seminati, si raccolsero pochissimi legumi, grano, orzo ed altre biade, e vi fu scarsezza d'oglio, di mosto e d'ogni altra cosa; ad ogni modo non fece nella ricolta de' frutti sensazione alcuna, dapoichè il frumento si vendea a carlini 30 e 33 la salma secondo si fu fatta la voce della città del Vasto, l'orzo a 21 carlini la salma, li grandinij a 18 la salma, l'oglio a carlini due il tomolo, lo mosto a carlini 10 la salma.
I sig.ri Decurioni di detta Città del Vasto, che previddero alquanto qualche penuria, non però in cosi fatta guisa, ed accaduta nel suddetto anno 1764, impedirono alli mercanti de' grani, sig. don Giuseppe Sabelli e sig. don Angelo Maria de Pompeis, che aveano ristretto migliaia di tomola di grano per i loro principali negozianti napolitani, sig. Columbo e sig. Capassa, acciò non sortissero il loro imbarco, se prima non si facea l'Annona in detta Città del Vasto. Fra tanti contrasti fra detti mercanti, e Decurioni, e per Chieti e per Napoli, con eccesso di scrivani e Ministri dell'Udienza, per quali si consumò denari sopra mille docati, alla finfine superatasi da detta Città la causa con essi grani de' mercanti e d'altri particolari, si formò l'Annona intiera, restando ad essi mercanti poche centinaia che per Napoli s'imbarcarono.
Allo strepito di detta Città del Vasto ogni Terra apri l'orecchie e da ogni paese si chiese l'annona, e si formò, siccome per tutto il Regno di Napoli, ed anche per tutta l'Itala. Macchè! Con tutta la formata annona per ogni Paese si assaggiò l'amaro calice dello Divino sdegno per la mancanza de' viveri.
Fu ordine del nostro Re Ferdinando III, Dio guardi e conservi, che il prezzo del frumento fosse situato a carlini 39 la salma sotto rigorose pene per editti emanati; ad ogni modo pure si faceano i controbanni col vendersi dentro i mesi di novembre e dicembre 1763 a docati 5 e 6 la salma. Nelle panatiche però proviste già per l'annona fatta si mangiava il pane a 39 la salma, ma non in tutte le terre, mercè ad alcune mancavano per due mesi, ad alcune per tre, e ad altre per quattro.
Insomma in tal stato di vivere, quantunque la nostra Università di Monteodorisio avesse fatta l'annona per raggione di una salma e mezzo per giorno, che ricadevano tomola 1422, pure mancarono al pieno tomola 180 di grano che non si potè restringere nella cittadinanza per non esservene più, ne da fuori provvedere si potè, mentre in tutti i luoghi fu impedita l'estrazione de' grani; aggiunto poi, che venuto il tempo di seminare in detto anno 1763, poche erano quei che avean la semenza, a riserba de' camparoli forti, onde si dovettte supplire col detto grano ratizzato per l'annona, scemandosene da circa 400 tomola; premesso ancora che Belle famiglie, alcune avrebbero andate al forno per un mese ed alcune per due, quando poi queste vi andarono per tre e quattro mesi prima, dimodochè quattro mesi prima della nuova ricolta dentro la stagione cruda penuriosissima del 1764 tutte le famiglie al forno a riserba di queste precise case. La casa mia con mio nipote Dr. Fisico D. Matteo Fanghella. La casa di Domenico Sangiovanni. La casa di Paschale D'Alfonso. La casa di Berardino Di Giacomo. La casa di Rosario Festa. La casa di Isidoro Falcucci. La casa di Paschale Scardapane. Da queste solo sette famiglie si continuò sin la ricolta di fare il pane al forno piccolo, l' altre famiglie tutte al forno grande del pane a vendersi.
In tal stato di vivere, dissi, doppo la ricolta di detto anno 1763, in tutto il mese di gennaro, sebben sembrava agli occhi di tutti gli omini del Regno, conforme alli nostri qui in Monteodorisio, cosa irnpossibile l'ammettersi i grani ratizzati per l'annona, nonostante il smembramento suddetto per la semenza, pur tuttavolta ecco, che in un sbatter d'occhio, come un turbine, lo sdegno di Dio sopra l'umana indigenza, facendosi palese la formidabile caristia giammai pensata, ne sognata dagli omini. Spuntò pertanto questo flagello di Dio alla fine del mese di febraro dello sudetto anno 1764 e per quello, ch'e da ammirare, per ogni parte d'Italia all'istesso tempo di anzidetto mese, giusta le precorse nuove. Sicchè nel Vasto alla fine di detto mese si principiò a mangiare a cartella il pane, cosi qui ed in altri luoghi vicini e lontani, in Napoli, in Roma, e per tutta l'Italia, secondo gli avvisi pubblici, e manoscritti.
In vedersi acceso un fuoco cosi divoratore per la fame nel Regno dalla Reggenza di Napoli, rivocarono gli editti emanati dalla medesima per lo stabilimento del prezzo del grano a 39 carlini la salma, e si diede con altri editti la libertà a detentori de' grani di venderli al di loro arbitrio. Dio ce la perdoni perciò, perché molte anime s'anno acquistato Inferno colla vendita de' frumenti sopra superlativo prezzo.
Sarò quindi a narrare la catastrofe per detta penuria in ordine a questa mia cara cittadinanza. Scoverta, dissi alla fine di detto mese di febraro la caristia, motivo per cui si cominciò a somministrare il pane a cartella, cioè una pagnotta a testa il giorno, perdurando questo pane cosi somministrato alla raggione di carlini 39 come di rattizzo sin l'ultimo del mese di aprile, qual grano annonario finito, si diè mano a' tomola 90, che si restrinse coll'accesso d'un scrivano di Tribunale per la Terra, allorchè si scoperse la caristia, e questo si fece panezzare da questa Corte locale a docati nove la salma, mediante il consento de' particolari, che l'aveano contribuito, durando sin li 17 di maggio, tal che quando si vide la penuria sin l'anzidetto giorno si visse a cartella, senza che capitando un forestiero gli si avesse data e rispartita una pagnotta. Dalli 17 maggio sin li 20 giugno si caricò il grano del sig. D. Pietro Deriseis della Terra di Scierni al prezzo di docati 12 la salma, ma chi comprava questo pane, quantunque tolte le cartelle, se la povera gente era asciugata all'ultimo segno.
Amministratori del Pubblico in stagione si arrabbiata per la gente si stizzita che avrebbe voluto morderli, erano mio nipote D. Matteo Camerlingo, Fortunato Scardapano, Rosario Festa, e Domenico Sangiovanni, che presiedevano da deputati come d'Universita, e questi Iddio assisti, che per la ferocia di certi uomini appetitosi erano malmenati, sputacchiati e minacciati, merce non ricordandosi essi ingrati del beneficio del grano datogli per semenza e di mantenerli in si for gravi bisogni, giacchè da esso mio nipote si votò la casa intiera, circa mille docati, lasciando tutto il suo avere in mano de' poveri, e quel che più, tutto dato al prezzo di carlini 36. la salma il grano, e conforme dalla vendita dei grani rientrava il denaro, lo ridava per sollievo a' bisognosi, affinché non perissero dalla fame, cosicché in casa neppure un denaro rimasto in cassa; cosi anche opratosi da altri de' suddetti amministratori.
Intanto li suddetti non erano procuratori di loro medesimi da che fu posto il pane a cartella, mentre doveano invigilare fra tanto si faceva il pane, per non farsi assalire il fornaro dalla genre appetitosa, che se l'avrebbe voluto il pane ingoiare senza cuocersi.
Cotto il pane del fornaro Giannangelo Delle Donne si conduceva tra guardie nella stanza dirimpetto al Forno in mezzo la Piazza, che un tempo era casa del quondam sig. Giuseppe De Angelis, ed oggi di detto Scardapano. Quivi coll' assistenza del Camerlengo suddetto mio nipote e di detti deputati, chiusa la porta con portello in essa fatto, per cui si somministrava a cartella il pane, mattina e sera.
Quali fossero stati i lamenti, quali le grida, quali le bestemmie ancora, non ostante il Divino castigo, delle genti, si rifletta dalle menti saggie di Voi Posteri, quali poi le angustie delle famiglie, quali le miserie, voi pensatelo. Di che forma i volti degl'huomini, in che stato ridotti, giudicatelo voi. Posso bensì ridirvi per buona scuola, che gli omini per vivere si vendevano tutto, argento, oro, pannamenta, terreni, animali e per sino l'anima, ed il tutto vil prezzo, un anello di 30 carlini per 5.
Posso ridirvi che per i patimenti sofferti i più belli volti si erano deformati, quanto a pena si tenevano all'impiedi.
Posso ridirvi che io co' miei (cosi gli altri, che tenevano per misera risecata provista un tozzo di pane, che si dovea mangiare anche con cautela) non poteva star in casa, quantunque serrato, pure ad ogni ora, e di giorno, e di notte, o che mangiava, o che dormiva, era forzato alli gravi colpi si davano da limosinanti cittadini più di 100, già spacciati dalla fame per il giro della limosina, cosicchè o paziente, o impaziente dovea correre a suffragarli, e Dio sol sa, che si facea in esso anno penurioso.
Posso ridirvi, che per le strade si vedean a terra persone già avvilite, e per morire, e cosi io come altri pii uomini, correvamo a raffiatarli. Posso ridirvi, che sono state tante le morti delle genti per la fame in ogni parte del Regno, che si mosse la Reggenza di Napoli ad ordinare le seppolture fuori dall'abitato da lontano in colle alto, abbenché per grazia di Dio qui in Monteodorisio quattro o cinque si può dire francamente morti per inedia e non si fecero detti sepolcri fuori.
Posso ridirvi, che mossa la clemenza del nostro Re Ferdinando a soccorrere i suoi vassali ancora diè un suffragio per ogni Terra del Regno, qui in Monteodorisio docati nove e rotti in mano di me Parroco, con qual denaro ci comprai tanto pane a grana 36 la decina, e per diverse mattine dentro la chiesa di S. Nicola ne davo una fetta per ciascuna persona, il qual funzione ne intervenivano delle famiglie intiere.
Posso ridirvi che i campi delle fave fresche, quantunque guardati, pure si rubbavano, ed alcuni campi affatto carputi.
Posso finalmente ridirvi, che se perduravano altri giorni di penuria, non venendo la nuova ricolta, più gente andava alla sepoltura.
Passo ora a ridire i prezzi delle vittovaglie in detti quattro mesi di penuria si atroce.
II grano non ammetteva prezzo, da queste parti a 12, a 15, a 18 e forsi più ducati la salma. Così le fave. Così l'orzo. Così il grandinio. Così ogn'altra biada. In Foggia e da quei contorni persin docati 30 la salma.
L'oglio sin quattro carlini ii tommolo.
II vino sin quattro docati la salma da qui. In Furci, e sopra sin docati sei. II lardo e pregiutto sin carlini 20 la decina.
Il formaggio sin 12 carlini la decina.
Li verdure cosi scarsi ancora nella piazza del Vasto, che per farsene un piatto ci volea un carlino. Ma che dico, per sin le foglie campestri mancanti, e non si trovavano, tal che in essa stagione severa, si mangiava erba di qualunque sorte.
Pesce il mare poco ne dava a' marinari, ed anche a caro prezzo.
Insomma ogni genere di viveri a strabbocchevole prezzo.
Rintracciamone di essi perniciosi effetti la causa, cari miei Posteri. Il peccato maledetto, che conciliando lo sdegno di Dio su di noi spettatori d' una si arrabbiosa staggione ci volle mortificare cosi aspramente. Ma. oh Dio! quanti e quanti di questo popolo, se non dico la maggior parte, ai colpi della Mano Divina si torcevano, e si comparavano a' giumenti, merce invece di ricorrerne a Dio ad implorare il soccorso, da esso s'allontanavano, dapoichè toccando a me Arciprete la sorte di annunziare la divina parola, come prescelto dall'Universitâ per Predicatore, mi toccò la sorte di aver poca udienza, non ostanti tanti miei ritrovati.
Avvertite adunque miei Posteri a non provocare lo sdegno di Dio per non soggiacere ai colpi fatali della sua presente mano.
Non vi fu adunque luogo, che non assaggiò nel nostro Regno si acerba caristia, ma chi più e chi meno, secondo le provviste, ma per la sola rabbia della fame che appestava l' aria medesima, da tutti i luoghi si sperimentò, dapoichè non ostante l'annona fatta da tutti i luoghi, che credevasi bastare, nientemeno mane a tutti, cosicchè nel Vasto fattosi il vero e netto pieno, pure se non erano 400 Candara di riso sbarricato al lido di essa Città, che si andò a mischiare colla farina di grano, vi mancava molto, compreso altro grano comprato ad alti prezzi, ma senza però farvi comparire l'alterazione del prezzo nella vendita del pane, che si faceva impicciolire.
Lode e grazie a Dio sommo benefattore e proveditore, il quale abbenchè con una mano ci castigasse in esso anno penurioso, coll'altra sin dal principio di essa annata ci comparti la sua divina providenza. E come, dirò cosi.
Alli 20 di novembre dell'anno antecedente al 64, tempo in cui gli omini stavan provvisti di alimento, scaricò una neve cosi grande che fu di circa palmi otto, da cui assalito venni io con detto mio nipote il medico nella Terra di Tufilli, ove il giorno avanti ci eravamo portati, per invito di nozze fattesi dal sig. Gianvincenzo La Rocca figlio della sig.ra Giuditta Argentiero mia sorella germana, tantocchè non potessimo scafare per la neve, se non dopo diecissette giorni anche a pericolo di vita. Doppo della quale neve si raffilò tempo, cosicchè dalli principii di dicembre di esso anno si cominciò a sperimentare la primavera, che perdurò sin la primavera istessa e sin la ricolta, se veniva qualche poco d' acqua, tutta calda e per poche ore del giorno, senza recar noia.
Imperciocchè essendosi nel buio della penuria si potè dalla povera gente industriare e con fatigare a giornate e con procacciarsi le foglie campestri, di cui soltanto si cibavano senz' oglio e senza sale perlopiù.
Aggiungasi poi che le primizie della nuova ricolta furono in tal stagione alquanto presto, giacche si cominciarono a mangiar le fave sin dalli 20 d'aprile contro il solito, cosi il grano nuovo a tutta portata dalli 15 di giugno, dimodochè si vide l'umana carne ristaurata, e vi rientrò nel di lei seno l'allegrezza, che dell'intutto si era perduta; onde e da riflettersi che se la stagione in essa penuria correva con mali tempi e non assecondava colle primizie primiere de' frutti novelli, povera gente, al certo s'avrebbe tutta perduta.
Per me finalmente vi giuro cari Posteri, che per essere stato spettatore di esso anno doloroso vengo meno in dispensarvi solo. Iddio sia quello che vi liberi da tal castigo di fame, ma concedi sempre abbondanza, secondo nella nuova ricolta di esso anno 1764, in cui si fece tanto grano, tanto mosto ed ogn'altro genere di viveri, mentre generalmente il grano corrisposto alla dieci e si vendeva al prezzo di carlini 24 la salma, e presso certi particolari colla 12, colla 15, sin colla 20, e sia detto senza iperbole, cosi lo mosto a 3 carlini la salma, tantocchè sin oggi li 13 giugno 1765 il grano si vende a 24 carlini la salma ed il vino a 9 e 10 carlini la salma.
Posteri dilettissimi, amate il Signore con ardore, perché così tenete lontano da voi i suoi flagelli. Ve l'ho voluto lasciar scritto questo ricordo, che anche in... si e posto dentro la palla su le campane dell'orologio.
Dato in Monteodorisio 13 giugno 1765.
D. Pietrantonio Argentiero Arciprete

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